di Salvatore Scondotto, Dipartimento per le attività sanitarie e Osservatorio epidemiologico, Assessorato della salute, Regione siciliana

Mi concentrerei su una delle questioni principali proposte dal dibattito:
«La programmazione delle modalità organizzative dell’epidemiologia a livello nazionale e regionale non ha seguito percorsi omogenei dal 2016 ad oggi, e la pandemia ha messo ancora più in crisi di identità le strutture esistenti».
E soprattutto… «Come si concilia la necessità di garantire i “livelli essenziali di epidemiologia” (di cui parlava il documento AIE del 2016) con la necessità di mediare con le esigenze del decisore politico? Quali sono le forme organizzate dell’epidemiologia nel SSN che possono garantire una produzione di conoscenze stabile, omogenea e autonoma rispetto al potere politico, per guidarne le scelte sulla base delle evidenze?».

Una questione ricorrente nella nostra comunità, come testimoniato dal ripetersi ciclico dei confronti e di documenti sul ruolo e la funzione dell’epidemiologia del nostro Paese

A distanza di oltre quarant’anni dalla costituzione del Servizio Sanitario Nazionale, la cui legge istitutiva faceva riferimento anche all’organizzazione del servizio epidemiologico (art.58 legge 833/78), mentre la comunità professionale ha continuato in un percorso proficuo di confronto e di crescita - anche attraverso il riferimento offerto dalla Associazione Italiana di Epidemiologia, che ha portato numerose evidenze con ricadute pratiche e operative nel campo della sorveglianza e della valutazione -  la disciplina e gli stessi professionisti sembrano ancora non avere trovato una collocazione organica e funzionalmente omogenea e riconosciuta nel sistema di sanità pubblica italiano.

Il rapporto ambivalente tra epidemiologia e decisore

Paradossalmente, al crescere delle conoscenze ed al perfezionarsi dei metodi e dei contributi sembra essere aumentato nel tempo il divario tra epidemiologia e livelli decisionali, in una scala crescente di intensità tra disinteresse, incomunicabilità, diffidenza ovvero franca (reciproca?) avversione.

In passato molto più che adesso il rapporto tra livello decisionale e funzione epidemiologica nel servizio sanitario è stato in taluni casi francamente conflittuale, specie nei casi in cui, in maniera forse eccessivamente razionalistica, si prefigurava la pretesa che il dato dovesse costituire l’unico elemento di riferimento a guidare le scelte politiche nei contesti di riferimento.

In tal modo il decisore avvertiva come francamente ostile e condizionante verso l’opinione pubblica il ruolo dell’epidemiologo quando le evidenze scaturite dal suo lavoro entravano in contrasto con le decisioni assunte. Oggi, in una visione certamente più moderna e dinamica, si è compreso che l’epidemiologia è sicuramente uno degli elementi a cui ispirare l’azione ma che occorre tenere in adeguata considerazione anche una serie di valori che attengono alla sfera etica, sociale, politica e di sostenibilità economica che possono alla fine determinare scelte diverse e la cui responsabilità va lasciata al livello politico sulla base delle opzioni che gli sono state proposte.

Nonostante questo però il rapporto tra epidemiologia e livello decisionale rimante sicuramente problematico e connotato da un reciproco sentimento che potremmo definire in termini di “ambivalenza affettiva”. Un rapporto di “odio amore” che è testimoniato dal fatto che il rafforzamento della funzione epidemiologica è sempre in cima all’agenda politica, quando alternativamente, il ci si concentri sull’obiettivo della sua riorganizzazione, ad esempio chiudendo struttura di riferimento qualora preesistente, oppure perseguendo la creazione di nuove tecnostrutture in caso contrario.

La storia si ripete ad esempio anche ai giorni nostri nel momento in cui si è parlato di “Centro di calcolo” ovvero quando lo stesso PNRR mostra una linea di tendenza con la sostituzione del ruolo dell’epidemiologia con quello del sistema informativo sanitario con la conseguente coerente scelta di legare la prevenzione non all’epidemiologia, ma al sistema informativo;

La deriva economicistica nel servizio sanitario

Uno dei problemi che ha contribuito a una non chiara percezione delle reali potenzialità della epidemiologia a supporto degli interventi e della programmazione sanitaria è stato il fatto che, a partire dagli anni novanta, con l’entrata in vigore della aziendalizzazione nel servizio sanitario nazionale, si è assistito ad una deriva economicistica che ha per lungo tempo prevaricato la gestione della sanità pubblica territoriale.

In uno scenario di aumento dei bisogni assistenziali legata alla diffusione delle malattie croniche, si è registrata una tendenza di risposta alla crisi mediante il controllo della spesa pubblica.

A tali problematiche le Autorità̀ di governo nazionale e regionale, col supporto di esperti in management aziendale e/o sanitario, hanno dato risposte essenzialmente di tipo tecnico-gestionale, con l'obiettivo di controllare e contenere la spesa pubblica.

Per lungo tempo le scelte e le priorità di politica sanitaria sono state assoggettate a vincoli finanziari e professionalità esperte in management economico gestionale hanno avuto un ruolo predominante nel condizionare e valutare le scelte di salute pubblica

Negli anni i vari interventi sono stati adottati, sempre nella stessa logica gestionale. In particolare: i Piani di riordino ospedaliero delle Regioni, la definizione degli standard ospedalieri del DM 70/2015, i Decreti governativi del 2016 sull'appropriatezza prescrittiva e nuovi LEA. Tali provvedimenti hanno determinato una progressiva riduzione e un concreto razionamento delle prestazioni erogate, sia pure quando effettuati con razionalità scientifica.

Dopo un ventennio di tali politiche, l'obiettivo di controllare la spesa pubblica è stato raggiunto, come attesta il Rapporto Monitoraggio della spesa sanitaria 2017 della Ragioneria generale dello Stato, che certifica come il valore medio della spesa sanitaria, dopo decenni di crescita, dal 2010 al 2016 è invece diventato persistentemente negativo: - 0,1 per cento/anno.

Ma la positività̀ di tali provvedimenti finisce al raggiungimento dell'obiettivo finanziario di contenimento della spesa pubblica per la salute.

Dopo anni è sarebbe giunto il momento di riequilibrare questo divario e riaffermare con vigore a tutti gli interlocutori del suistema la priorità del concetto di Sanità pubblica con il quale si indica un insieme di azioni e di programmi che perseguono il miglioramento dei livelli di salute di una popolazione.

Il supporto dell’epidemiologia (conoscenza dello stato di salute nella popolazione) pertanto è fondamentale per verificare il raggiungimento di tali miglioramenti e per fornire ai diversi livelli di direzione le basi per la programmazione e la valutazione.

Nessuna scelta in tal senso dovrebbe basarsi solo su aspetti ideologici o puramente teorici, ma, nella introduzione nella pratica operativa, è necessario riferirsi ad interventi di comprovata efficacia, cioè programmi o progetti di cui vi sia evidenza dimostrata di esito in comunità

Fondamentale è il ruolo che l’epidemiologia può assumere all’interno del servizio sanitario nazionale, attraverso un approccio consequenziale, nell’applicazione dei dati rilevati dalle varie fonti di indagine, per progettare, supportare e valutare interventi in sanità pubblica: un approccio pratico e orientato all’azione, in cui l’epidemiologia è strumento non solo per studiare il mondo, ma anche per cambiarlo.

In tal senso il ruolo dell’epidemiologia ne esce fortemente rafforzato, come del resto testimoniano ormai alcune buone pratiche che hanno realizzato successi nel nostro Paese. Programmare per obiettivi di salute oggi si può! Ricordiamoci che l’obiettivo delle direzioni generali è la tutela e la promozione della salute dei cittadini e che il pareggio di bilancio è semmai da considerare un vincolo (non come erroneamente si ritiene l’obiettivo del sistema)

L’approccio di sanità pubblica

Ma anche gli epidemiologi devono modificare il loro “ modus operandi” per una valorizzazione del loro apporto all’interno del servizio sanitario nazionale.

La loro funzione dovrebbe essere profondamente ancorata alle ricadute in termini di intervento in una ottica estremamente pragmatica di sostegno e supporto alle azioni in sanità pubblica.

Un approccio necessario ai livelli regionale e aziendale che richiede anche massima tempestività nel tradurre e corrispondere ai bisogni informativi dell’amministrazione e dei cittadini accompagnate da spiccate capacità di relazione e comunicazione con il decisore e con la comunità

Si avverte la necessità di adattamento del nostro lavoro alle mutate esigenze poste dal contesto reale che non significa rinnegare i propri valori fondanti ma semplicemente innovare, rilanciare ed adattare modalità operative e organizzative, con un graduale equilibrio tra elasticità e rigore, alle regole dettate dalla società contemporanea

Un approccio consequenziale, nell’applicazione dei metodi e dei risultati per interventi in sanità pubblica: pratico e orientato all’azione, in cui l’epidemiologia è strumento non solo per studiare il mondo, ma anche per cambiarlo.

Nel sistema salute si richiede quindi una moderna visione dell’epidemiologia che non si limiti all’aspetto speculativo ma contribuisca, insieme a tutti i portatori di interesse, all’introduzione di interventi efficaci

La funzione epidemiologica nel servizio sanitario

Le regioni sono ormai il cardine organizzativo e decisionale della sanità del nostro paese e l’efficacia delle loro azioni ha forti ricadute sulle aziende sanitarie del territorio.

A tale livello sarebbe innanzitutto fondamentale il ruolo della funzione epidemiologica regionale, sia in un modello centralizzato, come gli osservatori regionali o le agenzie sanitarie, ovvero articolato in rete regionale , con funzione di coordinamento ed indirizzo .

La funzione centrale dovrebbe essere formalizzata da norme costitutive solide e blindata attraverso regolamenti e norme che ne tutelino un margine di autonomia, anche gestionale, e la assoluta trasparenza nell’attività proteggendola da condizionamenti e conflitti di interesse. Analogamente dovrebbe prevedersi un budget ed un organico strutturato attraverso profili e competenze specifiche.

Tale funzione centrale deve comunque basarsi su una articolazione territoriale di livello aziendale diffusa e capillare anch’essa organica ed istituzionalizzata prevedendone una collocazione se non proprio univoca, alla luce delle peculiarità locali, quantomeno riconoscibile e formalizzata e con linee di attività ben descritte all’interno del funzionigramma aziendale in stretta connessione con la funzione preposta ai programmi di prevenzione o di valutazione.

Al momento in Italia le attività epidemiologiche si sono strutturate con soluzioni organizzative non regolamentate con un investimento di risorse molto variabile nelle diverse regioni.

La collocazione organizzativa di questi servizi è stata e rimane molto variabile, a volte in sede aziendale, nei dipartimenti di prevenzione o nelle direzioni sanitarie aziendali e di presidio, a volte in agenzie e istituti regionali e nazionali. Accanto a questo sviluppo, più di tipo professionistico, è cresciuta anche una competenza professionale più diffusa nei dipartimenti di prevenzione, nelle direzioni sanitarie e nel mondo della clinica.

Non è sfuggito in questi anni ad esempio il fatto che nei Dipartimenti di Prevenzione i servizi di epidemiologia abbiano avuto cura prevalentemente delle malattie trasmissibili o vaccino prevenibili e che la sorveglianza delle malattie croniche o ad esempio sui temi ambiente e salute è assolta in ambiti disparatati.

Una occasione per rivedere tale sistema potrebbe essere costituita dagli annunciati provvedimenti governativi in materia di riordino dell’area della prevenzione a margine del PNRR , dove il tema è stato del tutto mancato .

Competenza nella scelta della leadership e dei professionisti della salute

Queste strutture (centrali e periferiche) devono essere adeguatamente valorizzate , dotate di competenze tecnico-sanitarie e guidate da professionalità di comprovata formazione e specifica esperienza al fine di fornire, in coerenza con i grandi programmi nazionali le basi per la valutazione della sostenibilità del sistema e dell’efficacia degli stessi i programmi adottati.

Apertura, disponibilità, impegno, affidabilità ma soprattutto competenza professionale sono solo alcune delle caratteristiche necessarie nel lavoro dell’epidemiologo in sanità pubblica specie in alcuni contesti, come quello del Meridione, per molti aspetti ancora oggi problematico per rigidità del sistema e inefficienze che frenano le potenzialità di crescita e di sviluppo anche nel settore sanitario, a cominciare ad esempio dalla disponibilità dei fondi, il reclutamento di personale e la relativa stabilizzazione. Proprio in tali contesti necessita una particolare autorevolezza istituzionale per governare con credibilità i processi di riqualificazione interna del sistema e di confronto con le istituzioni di governo centrali

Comunicazione e contatto con le istituzioni

Fondamentale è la tempestività nel rispondere ai bisogni informativi della comunità e la capacità di comunicazione con tutti gli interlocutori, i decisori, gli operatori, i cittadini. Il compito dell’epidemiologo non si esaurisce fino a quando i risultati della propria attività non vengono comunicati agli interlocutori e /o portatori di interesse , per contribuire ad una progettazione partecipata degli interventi da adottare e migliorare l’adesione agli stessi da parte della comunità

Occorrerebbe ottimizzare ulteriormente capacità relazionali, apertura e presenza attiva verso tutti i potenziali interlocutori istituzionali e della comunità. Rafforzare il ruolo di contatto attivo nei confronti delle istituzioni centrali (Ministeri , salute, ambiente, università, arpa ecc.). Una azione mirata che vede nella comunicazione verso tutti i potenziali portatori di interesse uno strumento per valorizzare il ruolo dell’epidemiologia in termini di ricaduta sul sistema salute e sul servizio sanitario.

Disciplina, profilo professionale e formazione

Le prerogative sopra illustrate per il rilancio della funzione epidemiologica non possono prescindere tuttavia dalla riaffermazione del ruolo professionale e della disciplina In Italia l’epidemiologia è nata con il concorso di molte culture e comunità professionali già affermati, sia quelle più tradizionalmente interessate agli interventi di comunità come l’igiene, la statistica sanitaria e la medicina del lavoro, sia singoli settori della clinica, quali quelli oncologico, psichiatrico, cardiovascolare e neurologico.

L’epidemiologia si è poi sviluppata in servizi “professionistici” di epidemiologia nel sistema sanitario, a livello nazionale, regionale e locale, ma con formule diverse, essendo interpretata da figure professionali di varia natura. Sotto il profilo legislativo, la disciplina di epidemiologia è inquadrata nel Servizio Sanitario Nazionale nell’area della Sanità Pubblica, sia come tale (“Epidemiologia”) che come strettamente connessa all’igiene e sanità pubblica (“Igiene, epidemiologia e sanità pubblica”).

Per un esercizio autonomo di questa funzione è preferibile essere inseriti direttamente o indirettamente in una struttura la cui dotazione di competenze professionali, di fonti informative, di tecnologia e di investitura istituzionale e di mercato superi uno standard minimo.

Ne consegue l’importanza di percorsi formativi di base coerenti e post universitari come i Master in Epidemiologia.

Assegnazione di obiettivi di salute ai vari livelli decisionali e/o revisione del sistema nazionale di garanzia LEA

Coerentemente a tali logiche andrebbero riorientati gli strumenti di valutazione delle performance dei vari sistemi sanitari regionali. Uno degli strumenti potrebbe essere la revisione del sistema nazionale di Garanzia per il monitoraggio dei LEA. Si rende necessario valorizzare obiettivi operativi basati su indicatori di salute per il cui raggiungimento i decisori vanno responsabilizzati.

Alcuni dei colleghi che mi hanno preceduto in questo dibattito hanno evidenziato la attuale inadeguatezza del sistema della “Griglia LEA” e la necessità di ricorso a indicatori fortemente correlati agli esiti di salute verso da valutare con metodi epidemiologici appropriati per cui non mi soffermo oltre.

Gli indicatori di monitoraggio dei livelli di assistenza tra le Regioni devono essere fortemente riformati e riorientati a indicatori di salute e di esito.

Conclusioni

Probabilmente i tempi sono maturi per incidere in collaborazione con il Ministero della Salute e insieme alle altre società scientifiche per definire le questioni irrisolte sopra riportate in un documento nazionale che fissi i principali aspetti per un rilancio del ruolo e della considerazione della funzione epidemiologica nel nostro Paese. Il tavolo ministeriale sul riordino della prevenzione, cui l’Associazione italiana di epidemiologia è stata chiamata a pieno titolo, potrebbe affrontare questi temi.

Tuttavia anche i professionisti devono predisporsi in maniera proattiva e moderna adattando il loro approccio alle esigenze poste dal sistema in un’ottica di interazione pragmatica e costruttiva.

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