di Cesare Cislaghi epi-economista

Quando negli anni '70 un quotidiano fece un articolo sulla mortalità per tumori e mi citò come "epidemiologo" un collega ordinario di Igiene della mia facoltà di medicina insorse dicendo: "Come epidemiologo? non è neanche medico..."

Dico questo per ricordare come in Italia, nell'ambiente sanitario, l'epidemiologia è sempre stata considerata strettamente associata alla clinica o, tutt'al più, alla biologia. Non è così all'estero dove l'epidemiologia ha una sua identità non necessariamente medica in senso stretto.

I non medici che nel servizio sanitario italiano fanno epidemiologia devono tutt'al più essere inquadrati nel ruolo statistico, poco presente e comunque legato ad un rapporto di lavoro assimilabile a quello di un generico contabile.

Ci si deve allora chiedere cos'è l'epidemiologia, a cosa serve e quali competenze debba avere un epidemiologo nel Servizio Sanitario Nazionale. Giocherellando con le parole mi permetto di creare tre neologismi per definire un epidemiologo: l'epi-ricercatore, l'epi-clinico e l'epi- economista.  Io mi firmo da molto tempo epi-economista... e ho ricevuto molte critiche per l'uso di questo termine, ma almeno non mi sento più dire "Ma non è neppure medico", semmai "È davvero un economista?".

Epi-ricercatore

È un po' il sogno di ogni epidemiologo:  fare ricerca per arrivare a scoprire nuove evidenze a diversi livelli. L'epi-ricercatore affronta i problemi che più lo interessano e non sempre quelli di cui vi sia al momento maggior necessità d'indagine. Si preoccupa per lo più di utilizzare metodiche avanzate e brillanti che gli permettano di pubblicare i risultati ottenuti su riviste, soprattutto straniere, articoli di cui ha anche bisogno per arricchire il suo curriculum che è la base su cui viene valutato. La sua collocazione è soprattutto nelle università o negli enti di ricerca come il CNR, l'ISS, o a livello internazionale ad esempio la IARC. Gli epiricercatori sono quasi sempre gli epidemiologi più capaci ma, almeno all'interno del SSN, non sempre i più utili, almeno nell'affrontare l'attualità.

Epi-clinico

L'epi-clinico studia la casistica per aiutare a individuare la diffusione o le caratteristiche di una patologia o per valutarne l'efficacia e l'adeguatezza delle diagnosi e delle terapie. Deve essere necessariamente un medico, meglio con una sufficiente esperienza di pratica clinica. La sua collocazione più adatta è nei reparti ospedalieri accanto alle direzioni sanitarie o negli staff delle aziende territoriali. Solitamente non ha un contratto specifico da epidemiologo bensì da clinico cui viene assegnato un compito da epidemiologico accanto alla sua attività assistenziale. È importantissimo il suo impegno a mantenersi molto aggiornato in modo da poter dare ai colleghi le indicazioni di cui questi hanno bisogno e sicuramente è di grande utilità per garantire la qualità nella raccolta e nella trasmissione delle informazioni.

Epi-economista

L'epi-economista deve invece occuparsi degli elementi sistemici della sanità, individuare i bisogni della popolazione, i fattori di rischio, deve saper valutare l'attuazione e l'efficacia dei programmi e delle politiche sanitarie, deve soprattutto essere in grado di offrire ai decisori, sia amministratori sia politici, le informazioni necessarie ai loro processi decisionali. Il suo approccio deve necessariamente essere multidisciplinare e quindi deve saperne anche di economia, di sociologia, di informatica. La sua collocazione tipica sono le Agenzie sanitarie, le direzioni generali, gli Assessorati regionali, il Ministero della salute e ciò che gli si chiede non è solo di essere un bravo epidemiologo ma anche di essere capace di far riconoscere la sua autorevolezza da parte di chi, politico o tecnico, deve assumere delle decisioni di sanità pubblica.

La formazione dell'epi-economista

L'epieconomista non deve necessariamente essere un laureato in medicina o biologia, anzi è opportuno che ci siano anche epieconomisti laureati in economia, in sociologia, in scienze politiche o in discipline affini. Ma poi l'importante è che abbia una formazione abbastanza impegnativa (ad esempio di almeno tre anni post laurea) che preveda anche la frequenza a di corsi che forniscano le conoscenze di base sufficienti per colmare le lacune nelle discipline che non hanno precedentemente fatto parte dei loro curricula formativi.

Perché ci sono pochi epidemiologi nel SSN?

Negli anni settanta, decennio in cui Giulio A. Maccacaro fondò la rivista di Epidemiologia&Prevenzione e auspicava che l'imminente istituzione del SSN arricchisse il sistema sanitario con competenze epidemiologiche e attività preventive, fu anche il decennio in cui nacque l'AIE, l'Associazione Italiana di Epidemiologia. La legge 833/78 di riforma prevedeva una diffusa presenza di epidemiologi ma questo non avvenne, sia perché non c'erano ancora molti epidemiologi preparati, sia perché non c'era la diffusa convinzione che questi fossero realmente necessari.

Ma forse la responsabilità di una loro scarsa presenza si deve attribuire anche agli epidemiologi stessi, che per lo più hanno sempre pensato che il loro compito fosse di fare da epiricercatori e non hanno quindi saputo far capire il contributo che loro potevano dare nei processi decisionali di sanità pubblica. Ma una responsabilità certamente sta anche nei decisori che hanno sempre preferito assumere delle decisioni e delle politiche utilizzando le proprie opinioni o le proprie convenienze senza venir condizionati da elementi di conoscenza inconfutabili.

Il rapporto tra elemento tecnico ed elemento politico è da sempre un nodo cruciale dei sistemi sanitari e fu molto dibattuto ad esempio nei lavori preparatori della riforma Depretis Crispi del 1888 che affiancò al potere dei sindaci il potere degli ufficiali sanitari e al potere dei prefetti il potere dei medici provinciali. La gestione del "potere" in sanità pubblica è un elemento critico molto importante difficilmente risolvibile in modo equilibrato. Cito spesso la frase del presidente del parlamento francese durante un'epidemia di colera di fine '800 che apostrofò chi chiedeva pressanti misure preventive dicendo: "sont bien envahissants ces médicins!", ma mi ricordo anche delle frequenti occasioni in cui medici illustri si mostrarono insofferenti alle giuste decisioni governative. L'abilità dell'epieconomista deve stare anche nella sua capacità di rapportarsi efficacemente al decisore politico.

L'epidemia da Covid-19 può diventare allora una opportunità perché ha fatto capire la debolezza e i rischi di decisioni assunte senza il necessario supporto di indicazioni epidemiologiche serie. Il Governo e gli assessorati regionali hanno chiamato diversi epidemiologi accanto a sé, ma poi o non ne hanno ricevuto le indicazioni necessarie o hanno ricevuto indicazioni differenti rispetto a quelle che avrebbero voluto avere. Simmetricamente non è però che la politica, o meglio i politici, abbiano tutti e sempre mostrato capacità di equilibrio e di lungimiranza, e anzi alcuni hanno fatto talvolta emergere il sospetto che cercassero più il consenso elettorale che la salute della comunità.

Che fare allora?

Innanzitutto è urgente pensare a una nuova didattica per formare gli epidemiologi superando anche i divieti corporativi dei medici che vorrebbero limitarne l'accesso ai soli laureati in medicina.

Poi portando nel dibattito e nei seminari di formazione e aggiornamento la consapevolezza che nel SSN l'epidemiologia non serve se non interviene soprattutto a indirizzare i processi decisionali.

A livello normativo deve poi essere meglio definita la posizione funzionale e contrattuale dell'epidemiologo in modo che la sua carriera sia di interesse per chi voglia intraprenderla.

Infine, a livello organizzativo la presenza degli epidemiologi deve essere resa obbligatoria a fianco dei dirigenti sanitari e regionali e negli uffici di staff, e deve essere anche meglio definito il grado della loro autonomia decisionale come peraltro avviene per i tecnici di altri settori diversi dalla sanità.

Sarà però soprattutto importante che gli epidemiologi stessi riescano a convincere tutto l'ambiente sanitario della necessità del loro ruolo e della convenienza del loro contributo nei processi decisionali. E infine è essenziale che, come nessuno si autodefinirebbe cardiochirurgo se non lo è, così nessuno si spacci per epidemiologo senza averne sufficienti competenze specifiche.

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