La conquista della malaria. Una modernizzazione italiana 1900-1962 è il titolo del volume di Frank Snowden pubblicato nel 2006 dalla Yale University Press, che nel 2008 Einaudi ha pensato bene di tradurre in italano. Una vittoria della ricerca italiana sulla parassitosi provocata dal protozoo Plasmodium e trasmessa dalle zanzara Anopheles che si tende a dimenticare. La memoria di questa malattia infatti si è affievolita in Italia dopo essere stata debellata: il nostro Paese è ufficialmente indenne dal 1970, dopo che l’ultimo caso autoctono segnalato in Sicilia nel 1962. Da pochi decenni si è quindi chiusa una storia millenaria che ha visto l’Italia in una posizione preminente: per essere stata per secoli territorio endemico della malattia, il Paese più colpito in Europa; e, dalla fine dell’Ottocento alla Seconda guerra mondiale, per la fama internazionale di ricercatori che intuiscono il coinvolgimento delle zanzare nella diffusione della malattia, comprendono che le diverse febbri sono correlate a diversi tipi di Plasmodium, verificano sperimentalmente la trasmissione, e altro ancora. Tre gli aspetti più rilevanti del volume.

Professore di storia all’Università statunitense di Yale, l’autore utilizza anche materiali e fonti, in parte trascurate o poco esplorate, presenti in Italia. La sua ricerca non esaurisce gli approfondimenti possibili, come dimostra il recente volume di E. Tognotti (Per una storia della malaria in Italia, Il caso della Sardegna. 2° edizione, Franco Angeli editore, 2008), ma segna un punto fermo e apprezzato (ha vinto diversi premi). La malaria, al pari di altre (tutte?) le malattie, è il risultato di una rete causale. È stata vinta grazie a un insieme di conquiste sociali (servizio sanitario, alfabetizzazione, democrazia) insieme a medici e paramedici che si sentivano parte di una «missione», a progetti governativi, conquiste mediche, alla disponibilità di farmaci e, infine, al DDT.

L’altalena tra flettersi e riprogredire della malaria, che ha caratterizzato in Italia il Novecento, è specchio dell’altalena di quelle stesse conquiste sociali, come illustrano tragicamente il depauperamento e la distruzione, umana e sociale, causate dalle guerre mondiali. Questa riflessione ha valore per le ampie popolazioni che sono oggi affette dalla malattia.

La lotta alla malaria è stata considerata dal fascismo un «elemento centrale della politica interna». È discusso come Mussolini ritenne di intervenire direttamente in decisioni di sanità pubblica, a vantaggio del culto di leader onnisciente e onnipotente, dapprima autorizzando un esperimento pluriennale su alcune migliaia di indigenti e indifesi trattati con mercurio, invece che con chinino, poi decidendo la bonifica integrale dell’agropontino, usata come la più propagandata delle opere compiute dal fascismo. Rispetto alla propaganda, il volume ricorda che nella bonifica furono impiegati migliaia di lavoratori estemporanei, il cui ruolo fu di «immolare la propria salute per il successo del progetto e poi scomparire», lavoratori licenziati improvvisamente alla conclusione della prima fase del risanamento. L’agropontino fu pensato come il «vivaio per una grande razza italiana degna di fondare un nuovo impero» e i potenziali coloni come esempio di pura razza italiana: uomini guerrieri contadini, donne dedite alla riproduzione.

Nell’autunno 1943 i militari della Wehrmacht attuarono nell’agropontino un episodio di guerra biologica. La ricostruzione si basa su documenti del-l’archivio della Rockefeller Foundation (che ha giocato in Italia un ruolo rilevante sulla malaria: suoi la spinta e il finanziamento dell’utilizzo del DDT in Sardegna) e dell’archivio (inedito) di Alberto Coluzzi, malariologo, che osserva e descrive le azioni dei tedeschi. Il risanamento dell’agro era mantenuto da un sistema di canali e pompe. Il piano tedesco si concretizzò nel far saltare alcune pompe di drenaggio e nel-l’invertire il flusso di una parte in modo da immettere acqua marina salata. Fu pianificata la distruzione di canali di scolo, delle motobarche usate per la pulizia dei canali e della scorta di chinino presente al Ministero della sanità. La popolazione costiera fu sfollata, per eliminare testimoni. Nell’agro furono immessi milioni di larve di Anopheles labranchiae, specie autologa resistitente all’acqua salata che divenne, come previsto, specie dominante. L’agro fu ritrasformato in uno stagno putrescente gonfio di anofele infette. Avvenne poi che, mentre i militari alleati attraversavano l’area in una stagione non epidemica e ben difesi dalle zanzare e dalla malattia che avevano imparato a conoscere in Sicilia nell’estate del 1943, quindi sostanzialmente senza danni, la reimmissione della popolazione civile comportò un aumento dei casi di malaria in provincia di Latina da circa 1.000 nel 1943 a oltre 100.000 nel 1944. Il piano, progettato dai medici tedeschi Martini e Rodenwaldt, esperti di malaria, non è stato finora oggetto di valutazioni di giustizia penale, ma conferma il doppio binario attuato dai militari tedeschi come ritorsione al tradimento di Badoglio: vincere militarmente e offendere mortalmente la popolazione civile.

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