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Giorgio Cosmacini
Dante e l’arte medica

Milano, Edizioni Pantarei, 2021
149 pagine; 15,00 euro

Anche E&P partecipa alla celebrazione della ricorrenza settecentenaria della morte di Dante Alighieri (1265-1321) grazie al percorso che Franco Carnevale ci propone. Partendo dal volume di Giorgio Cosmacini Dante e l’arte medica, si ripercorrono alcuni testi della Commedia che dimostrano la conoscenza del Sommo Poeta in campo medico.
Si ricorda, per prima cosa, che a quei tempi coloro che erano avviati allo studio delle arti liberali entravano sicuramente in contatto con i testi di Ippocrate, di Galeno, di Avicenna e di Averroè. Nonostante non abbia mai praticato la medicina, Dante era medico in pectore ed era iscritto all’Arte dei medici degli speziali. Ne è prova l’abito con cui siamo soliti vederlo ritratto: veste rossa ornata di vaio bianco e cappuccio con le punte ricadenti ai lati.
Cosmacini, nel suo volume, illustra nello specifico le conoscenze fisio-patologiche e cliniche contenute nella Commedia. 
La concezione dantesca della generazione dell’essere umano è rigorosamente aristotelica, è – commenta Cosmacini: «“modello agricolo” della donna che fornisce il “terreno” da fecondare e dell’uomo che apporta il “seme” fecondatore».
Nel capitolo sul moto del cuore e del sangue, un’antologia selezionata di versi delle tre cantiche serve all’autore per dimostrare che Dante possiede la nozione che il fluire del sangue nei vasi dipende dal battito del cuore, in coerenza con le ideologie prevalenti ai tempi del poeta, il cardiocentrismo aristotelico e il biologismo galenico improntato dalla fisiologia delle facoltà.
Per la fisiologia cerebrale del sonno e del sogno, Dante è debitore del platonismo mediato da Galeno, che considerano il cervello la sede anche di questi fenomeni.
Il capitolo che ha come titolo “Dal male sacro alla malattia del cervello” è di sommo interesse: Cosmacini analizza in profondità il testo ippocratico sul Dante faccia riferimento all’epilessia nella valenza demistificata da Ippocrate, riducendola da “male sacro” a “malattia del cervello”.
Con “La pluripatologia della città dolente”, Cosmacini investiga all’interno della commedia, in particolar modo nell’Inferno, e disegna il catasto delle patologie: si nota che viene data particolare attenzione a quelle che producevano le maggiori alterazioni sul corpo umano e quelle più mortali. Malattie da considerare come castigo divino per i peccati dell’umanità e degli individui e per questo i peccatori, in riferimento al proprio peccato, meritano un “contrappasso” morboso.
Di Dante e la medicina del suo tempo si tratta nella parte seconda del volume; è questo un testo essenziale, necessario per avere riferimenti certi sullo scenario in cui muove i suoi passi il poeta; è un testo capace di stimolare il ricorso ad altre opere storiche più ampie messe a disposizione dallo stesso Cosmacini. Dalla triade “Ippocrate, Galeno, Avicenna”, passando per zoologia, botanica e clinica, si arriva a parlare di morte.
Fino alla morte di Dante stesso, avvenuta a Ravenna, trattata nella terza parte del volume e vista dagli occhi di altri due giganti, Petrarca e Boccaccio.
Carnevale chiude proponendo ai lettori un’approfondita bibliografia sul legame di Dante con la medicina e ricca di iconografia.

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