La riflessione sull’etica della ricerca, innescata su E&P da un articolo scientifico riguardante la salute di una popolazione esposta alle emissioni di un inceneritore, si arricchisce di una nuova pagina. 
Nel primo contributo Mariachiara Tallacchini suggeriva di «lasciarsi Merton definitivamente alle spalle», intendendo che non basta che la scienza sia rigorosa per essere etica, e sollecitando gli epidemiologi a prestare attenzione a tutti gli intrecci di fatti e valori di cui è disseminata la costruzione del sapere scientifico.
Nel secondo contributo Francesco Barone-Adesi e Stefano Canali si chiedevano «lasciare Merton, ma per andare in quale direzione?», temendo che una scienza che non si autogoverni non sia più in grado di svolgere il proprio ruolo, ma anche individuando nell’aumento del numero degli attori coinvolti nella produzione del sapere  (citizen science, open data ecc.) un possibile «modo per gestire il problema dei valori all’interno della scienza». 
Questo terzo apporto ci indica le direzioni che l'etica della ricerca ha già intrapreso nel dopo-Merton: sintesi degli obblighi di "diligenza scientifica" e richiesta di integrazione tra dimensioni etiche individuali e istituzionali. 
Su questo terreno,  ancora una volta, la nostra comunità è invitata a immaginare e sperimentare nuove vie.

La mia prima breve nota1 sull’etica della ricerca scientifica nasceva dal desiderio di capire se l’estesa e multidisciplinare comunità scientifica di Epidemiologia&Prevenzione potesse avere interesse a cominciare una conversazione sui molteplici temi che l’argomento suggerisce e, in particolare, se le questioni teoriche avessero un riscontro concreto nel lavoro degli epidemiologi.
L’articolo di Francesco Barone-Adesi e Stefano Canali2 ha dato spessore, profondità, ricchezza di contenuti ed esempi al mio modesto suggerimento.
Cogliendo questa competente e colta disponibilità, mi permetto di aggiungere qualche altro spunto di riflessione.
Gli elementi dell’ethos mertoniano, osservano correttamente Barone-Adesi e Canali, intrecciano una dimensione descrittiva sulle procedure scientifiche (raccontano “come è fatta” la scienza), e una dimensione normativa (prescrivono come “debba essere fatta” la scienza). Quando parla di “struttura normativa della scienza”, Merton esprime chiaramente che la scientificità della conoscenza è architettonicamente legata a questo percorso fattuale, che esprime al tempo stesso specifici valori epistemici ed etici. Ma nel dire questo, Merton fa anche un’affermazione più forte e “politica”. Poiché la scienza è autogarantita dalla propria struttura normativa, la comunità scientifica, intrinsecamente democratica nella sua autoreferenzialità, deve restare libera da ogni intervento esterno della società e delle istituzioni.
Questa posizione, peraltro, accomunava Merton a un altro importante studioso, Michael Polanyi, in un momento – gli anni del secondo dopoguerra – in cui era sempre più avvertita la necessità di un maggiore scrutinio pubblico sulla comunità scientifica, in particolare quando interagiva con i policy-maker. Nel suo famoso The Republic of Science, pubblicato nella rivista Minerva nel 1962,3 il chimico e filosofo polacco affermava che l’unica forma di potere che può essere esercitata sugli scienziati è quella della reciproca autorità degli scienziati tra loro.

«[...] the authority of scientific opinion remains essentially mutual; it is established between scientists, not above them. Scientists exercise their authority over each others. Admittedly, the body of scientists, as a whole, does uphold the authority of science over the public».4

Nell’immagine idealizzata della scienza che Polanyi e Merton proponevano, validità ed eticità della conoscenza scientifica sono indicati come un binomio indissolubile. La validità della scienza è parte di un ethos che, nel dare corpo al metodo scientifico, forgia anche l’integrità morale degli scienziati.

«The virtual absence of fraud in the annals of science, which appears exceptional when compared with the record of other spheres of activity, has at times been attributed to the personal qualities of scientists […]; a more plausible explanation may be found in certain distinctive characteristics of science itself. Involving as it does, the verifiability of results, scientific research is under the exacting scrutiny of fellow-experts».5

Questa immagine oleografica della comunità scientifica ha rappresentato una delle ragioni più importanti per teorizzare, almeno in linea di principio, che la scienza vada protetta come “libertà di ricerca” (come afferma l’art.33 della Costituzione italiana), senza un diretto collegamento con le garanzie giuridico-politiche previste per altri poteri nelle società democratiche. Questo dibattito aveva peraltro scandito la prima fase della science policy statunitense al termine della Seconda Guerra mondiale, quando si erano contrapposte la tesi di Vannevar Bush, presidente del MIT a capo dell’Agenzia di collegamento tra la comunità scientifica e gli apparati militari, e di John Steelman, primo Assistant to the President of the United States. I due autori elaborarono, infatti, due diverse proposte per il Presidente degli Stati Uniti (prima Roosevelt e poi Truman) sul futuro dei rapporti tra scienza e istituzioni democratiche o, per dirla nei termini contemporanei utilizzati dal presidente Obama nel 2009, sul “giusto posto della scienza” nella società.
Secondo Vannevar Bush il governo avrebbe dovuto finanziare la scienza senza chieder conto delle sue attività, perché il progresso scientifico scaturisce «dal libero gioco di liberi intelletti, dediti a ricerche da loro scelte in modo dettato dalla loro curiosità nell’esplorazione dell’ignoto».7 Steelman, invece, riteneva che la conoscenza fosse un potere e che non ci fosse nulla nella scienza che giustificasse «un allontanamento dai principi e controlli democratici che caratterizzano tutte le istituzioni pubbliche».8

Siamo già oltre Merton

Ma, tornando all’etica della ricerca, l’insieme delle riflessioni etiche e anche specificamente bioetiche della seconda metà del secolo scorso, insieme agli stessi cambiamenti scientifici e tecnologici, sono da tempo andati oltre la prospettiva mertoniana. 
I due più ovvi passaggi hanno riguardato, da un lato, l’esigenza di rispetto per i soggetti coinvolti nella ricerca (umani e non-umani), che per quanto riguarda i soggetti umani ha ribaltato il paternalismo nella prospettiva dei diritti; dall’altro, il dovere di accreditamento della scienza nei confronti della società (responsabilità, accountability, trasparenza eccetera) a fronte di rischi e incertezze nelle previsioni scientifiche e negli impatti tecnologici. 
L’introduzione di specifici requisiti, dal consenso informato dei soggetti di ricerca (inclusi gli usi dei materiali biologici) all’applicazione delle 3R (Replace, Reduce, Refine) come interfaccia giuridica per la legittimazione pubblica della sperimentazione sugli animali, all’accresciuto rispetto per l’ambiente e al riconoscimento del principio di precauzione sono elementi ormai pervasivi dell’etica della ricerca.9-10 La responsabilità sociale della scienza, tradizionalmente concepita come “la rassicurazione da parte di coloro che hanno la conoscenza”, come orgogliosamente garantiva il biochimico premio Nobel per la chimica nel 1980 Paul Berg nella sua lettera sui rischi connessi al DNA ricombinante nel 1974,11 si è evoluta in un complesso tessuto di interazioni tra scienziati, istituzioni e cittadini. Lo stesso Berg, scomparso nel febbraio di quest’anno, già nel 2008 in un commento su Nature, giudicava non più praticabili le garanzie di responsabilità che la comunità scientifica aveva offerto nelle prime Conferenze di Asilomar da lui avviate, dal momento che gli interessi economici sono ormai prevalenti nelle condotte di molti scienziati. E suggeriva, invece, che

«the best way to respond to concerns created by emerging knowledge or early-stage technologies is for scientists from publicly funded institutions to find common cause with the wider public about the best way to regulate — as early as possible».12

In anni recenti, poi, il sistematico ripetersi di scandali legati a pubblicazioni di dati scientifici inaffidabili o incompleti e di risultati falsi o non riproducibili13-15 – con i correlati danni reputazionali per istituzioni accademiche e riviste prestigiose – ha portato a un ulteriore passaggio, caratterizzato dal riferimento alla nuova locuzione integrità della ricerca, che domina ormai i documenti dedicati all’etica della ricerca.16-18 Che cosa si intende con tale espressione? Tale evoluzione consiste, da un lato, in una sintesi complessiva dei molti requisiti epistemologici ed etici in alcuni principi-chiave, concepiti come generale obbligo di “diligenza scientifica”; dall’altro, nell'esplicita richiesta di integrazione tra dimensioni etiche individuali e istituzionali.
Per quanto riguarda il lavoro di sintesi degli elementi per un’etica della ricerca, i principi riassuntivi enucleati – con qualche piccola variante tra contesto europeo e statunitense – sono: affidabilità, onestà, rispetto, responsabilità, così definiti:

  • affidabilità al fine di garantire la qualità della ricerca, riflessa nella progettazione, nella metodologia e nell’uso delle risorse
  • onestà nello sviluppare, elaborare, condurre, rivedere, valutare, riferire e comunicare la ricerca in modo trasparente, equo, pieno e imparziale;
  • rispetto per i colleghi, per i partecipanti a studi e ricerche, per la società, gli ecosistemi, il patrimonio culturale e l’ambiente.
  • responsabilità per la ricerca dall’idea alla pubblicazione, per la sua gestione e organizzazione, per la formazione, la supervisione e il tutoraggio, e per i suoi impatti più estesi.

Per quanto attiene, invece, alla necessità di integrazione tra responsabilità individuali dei ricercatori e responsabilità delle istituzioni scientifiche, questa si precisa in forme di intervento preventivo tese a rendere le istituzioni pienamente consapevoli delle pratiche eticamente adeguate. Come precisa il codice delle Accademie Europee, le istituzioni e organizzazioni di ricerca promuovono la consapevolezza e garantiscono una prevalente cultura di integrità scientifica attraverso una formazione e un training rigoroso dei ricercatori in tutte le fasi del loro lavoro e della loro carriera.19
L’integrità scientifica come evoluzione dell’etica della ricerca sembra quindi muoversi oggi  all’incrocio tra quattro elementi diversi. Gli aspetti più strettamente epistemologici della ricerca ben fatta si intrecciano agli aspetti della sua correttezza ed accettabilità morale; i comportamenti e le responsabilità individuali si saldano alle pratiche e responsabilità istituzionali.
Come osserva il documento sull’integrità scientifica della National Academies of Sciences statunitense, oggi le attività di ricerca si muovono in, e generano, contesti di elevata complessità (Figura 1). Un’efficace etica della ricerca deve essere in grado di confrontarsi con questa complessità. Il tratto forse più nuovo e interessante consiste nel pensare che la responsabilità non ha primariamente a che fare con la riparazione di un torto o la compensazione di un danno. Non deve essere successiva ma proattiva. Deve consistere nel mettere in atto pratiche di formazione e di training all’esecuzione corretta di modi di lavoro scientifico e di comportamenti che rendano univoche, allineate, omogenee e proattive tutte le condotte dei ricercatori.

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Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia e note

  1. Tallacchini M. Le interfacce tra scienza ed etica sono molte: E' tempo di lasciarci Merton alle spalle definitivamente. Epidemiol Prev 2022; 46(4):233-35.
  2. F. Barone-Adesi, S. Canali, Lasciarsi Merton alle spalle, ma per andare in quale direzione? Epidemiol Prev 2023; 47(1-2):14-16.
  3. Polanyi, M. The Republic of science. Minerva 1962;1:54-73.
  4. Idem, p. 60: «l'autorità dell'opinione scientifica rimane essenzialmente reciproca; si stabilisce tra gli scienziati, non al di sopra di loro. Gli scienziati esercitano la loro autorità gli uni sugli altri. Certo, il corpo degli scienziati, nel suo complesso, sostiene l'autorità della scienza sul pubblico».
  5. Merton RK, Science and Democratic Social Structure. In: Social Theory and Social Structure, New York, Free Press, 1942 (1968), pp. 604-15; p. 613: «La virtuale assenza di frodi negli annali della scienza, che appare eccezionale se confrontata con i risultati di altre sfere di attività, è stata talvolta attribuita alle qualità personali degli scienziati [...]; una spiegazione più plausibile può essere trovata in alcune caratteristiche distintive della scienza stessa. Coinvolgendo la verificabilità dei risultati, la ricerca scientifica è sottoposta al severo esame dei colleghi esperti».
  6. La trascrizione del discorso del presidente Obama è disponibile sul sito della Casa Bianca all’indirizzo: www.obamawhitehouse.archives.gov/blog/2009/01/21/president-barack-obamas-inaugural-address
  7. Bush V, Science. The Endless Frontier: A Report to the President on a Program for Postwar Scientific Research, July 1945. Reprinted by the National Science Foundation, Washington, 1990.
  8. Steelman JR. Science and Public Policy. Washington, Government Printing Office, 1947.
  9. Per esempio, Shrader-Frechette K, Ethics of Scientific Research. Lanham (MA), Rowman & Littlefield, 1994.
  10. Per esempio, Shamoo AE, Resnik DB. Responsible Conduct of Research. New York, Oxford University Press, 2009.
  11. Berg P, Baltimore D et al. Potential Biohazards of Recombinant DNA Molecules. Science 1974;185(4148):303.
  12. Berg P, Asilomar 1975. DNA modification secured. Nature 2008;(455):290-91. «[...] il modo migliore per rispondere alle preoccupazioni create dalle conoscenze emergenti o dalle tecnologie in fase iniziale è che gli scienziati delle istituzioni finanziate con fondi pubblici trovino una causa comune con il pubblico più vasto sul modo migliore di regolamentarle – il più presto possibile».
  13. Saltelli A, Funtowicz S. What is science’s crisis really about? Futures 2015;91:5-11.
  14. Editorial. Scientists Who Cheat. New York Times, 01.06.2015. Disponibile all’indirizzo: https://www.nytimes.    com/2015/06/01/opinion/scientists-who-cheat.html?_r=0;
  15. Retraction Watch, http://retractionwatch.com
  16. ALLEA (All European Academies). The European Code of Conduct for Research Integrity. Revised Edition. Berlino, ALLEA, 2017.
  17. National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine. Fostering Integrity in Research. Washington DC, The National Academies Press, 2017. Disponibile all’indirizzo: https://doi.org/10.17226/21896.
  18. Accademie svizzere delle scienze. Codice di condotta sull’integrità scientifica. Berna 2021.
  19. ALLEA. The European Code of Conduct for Research Integrity, cit., 2.1, 2.2.
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