Il presente numero monografico offre un meritato tributo all’epidemiologia e alle risposte che questa disciplina è stata fin qui in grado di ispirare alla sanità pubblica e, ancor di più, alla politica nella gestione complessa dell’emergenza COVID-19. L’epidemiologia negli anni passati era rimasta nell’ombra, relegata a ruoli ancillari rispetto alla ricerca clinica, di cui ha rappresentato l’ancoraggio epistemologico e lo strumentario di metodi nell’ambito del paradigma dell’evidence-based medicine.

Torna ora alla ribalta, sull’onda di una pandemia che contribuisce a restituirle il senso e la prospettiva originari: conoscere le cause e le modalità di distribuzione delle malattie, allo scopo di prevenirne o limitarne la diffusione. Questa definizione, per così dire “classica”, era andata sfumando nel tempo, proprio in relazione al lento ma progressivo scivolamento dell’epidemiologia dal dominio di Igea (prevenzione) a quello di Panacea (diagnosi, prognosi e terapia). Mentre oggi, di fronte a questa nuova emergenza pandemica – come già era accaduto agli albori della disciplina moderna a Londra durante l’epidemia di colera del 1854 – l’epidemiologia torna protagonista nei luoghi cruciali dell’agorà per orientare e sostenere, attraverso un dialogo serrato con gli altri saperi biomedici e una continua interlocuzione con le istituzioni e con la società civile, le linee di policy sui temi di sanità pubblica. La presente monografia passa in rassegna, con dovizia di contributi e ricchezza di argomentazioni, i diversi campi in cui l’epidemiologia si è cimentata nel corso della pandemia da Sars-CoV-2.
Primo tra tutti, il monitoraggio degli andamenti epidemici, a partire da alcuni aspetti metodologici legati al calcolo delle misure di riproduzione (R0 ed Rt) che, in sinossi con i 21 indicatori introdotti dal Decreto del Ministero della salute del 30 aprile 2020 sulla probabilità di diffusione epidemica, l’impatto della patologia e la resilienza dei sistemi territoriali, hanno permesso di valutare tempestivamente l’effetto delle misure adottate e di rimodulare le attività di risposta all’epidemia, attraverso la classificazione dei diversi territori italiani in zone gialle, arancioni e rosse.

A questo si aggiunge il tema della preparedness, che rimanda al consolidamento di modalità organizzative territoriali per la sorveglianza proattiva, il tracciamento dei contatti di caso e la tempestiva individuazione dei bisogni sanitari da parte delle aziende sanitarie, e segnatamente dei dipartimenti di prevenzione nel loro ruolo di coordinamento delle attività di sanità pubblica a livello locale. Adeguato spazio trova anche la valorizzazione di specifiche esperienze di integrazione tra prevenzione e cure primarie, maturate in alcuni contesti e utili in un’ottica di trasferibilità dei modelli e delle pratiche.

Tra le riflessioni che l’esperienza COVID ha suscitato in seno alla comunità scientifica vi è la sottolineatura del ruolo dei determinanti ambientali e socioeconomici nel condizionare le dinamiche di insorgenza e propagazione del SARS-CoV-2, e di come le conseguenze negative per la salute possano trovare negli alterati equilibri uomo-ambiente (naturale, sociale, lavorativo) pericolosi moltiplicatori d’effetto.
La valutazione dell’esposizione della popolazione italiana all’inquinamento atmosferico, per esempio, può gettare luce sulla relazione esistente tra degrado ambientale e COVID-19; allo stesso modo, l’analisi della mortalità per COVID in rapporto alle condizioni di deprivazione sociale può fare emergere l’impatto delle disuguaglianze sui processi di salute-malattia.
Un importante ambito di studio e approfondimento riguarda il tema delle patologie croniche, che stabiliscono con il SARS-CoV-2 una dinamica di circolarità viziosa: le prime aumentano la gravità clinica dell’infezione e quest’ultima tende ,nei pazienti portatori di comorbosità, a peggiorare le condizioni cliniche preesistenti.
Inoltre, il carico sui servizi sanitari determinato dall’emergenza COVID ha portato a diversi cambiamenti nella gestione ordinaria dei pazienti cronici, a seguito della riduzione o sospensione dell’assistenza ambulatoriale differibile (per esempio, blocco delle visite e degli interventi chirurgici non urgenti). Analogo destino hanno subito i programmi di screening, i percorsi di assistenza integrata e le attività di presa in carico, tanto del disagio psichico quanto di quello fisico, con impatti sulla salute collettiva ancora tutti da valutare, soprattutto a carico dei soggetti più vulnerabili (anziani, bambini e persone portatrici di fragilità su base socioeconomica). Soprattutto nel lungo periodo, potrebbero derivarne conseguenze anche molto gravi, in termini di riduzione della compliance o tendenza all’autogestione clinica, specie per coloro che richiedono un monitoraggio regolare dei sintomi e continui aggiustamenti farmacologici nell’ambito di regimi terapeutici complessi.
Infine, la ricerca non legata al COVID ha subito inevitabili ritardi a seguito dello scoppio dell’epidemia, dal momento che le risorse strategiche (strutturali, finanziarie e umane) sono state drenate a vantaggio della gestione dell’emergenza, e diversi studi clinici e di laboratorio sono stati sospesi per effetto della pressione esercitata sui sistemi sanitari o della repentina riduzione del personale a causa dello smart working.

Alla luce di tali considerazioni, e a partire dalle evidenze che si stanno rendendo disponibili, è possibile oggi costruire l’agenda dei prossimi anni, anche grazie al contributo dell’epidemiologia, non soltanto nelle situazioni acute e drammatiche dell’epidemia, ma soprattutto nella programmazione ordinaria, nell’identificazione delle priorità di salute, nell’allocazione delle risorse e nella costruzione di una visione per il futuro.
Siamo chiamati a ridefinire nuove strategie integrate, che valorizzino il lavoro di rete e la sinergia tra i diversi attori del Servizio sanitario nazionale, nella prospettiva di una maggiore capacità di presa in carico dei bisogni di salute della popolazione, attraverso l’adozione di modelli organizzativi flessibili, dunque in grado di rimodularsi in relazione alle specificità dei contesti, con una forte impronta di prossimità sanitaria e un’attenzione massima ai valori dell’equità.

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