Epidemiologia&Prevenzione, la rivista dell’Associazione italiana di epidemiologia, propone in questa monografia il “racconto epidemiologico” dei primi sei mesi della pandemia di Covid-19. Uno sforzo collettivo per dare conto dell’esperienza vissuta a fronte di un dramma pandemico che segnerà la storia di questo millennio. Una storia che dobbiamo approfondire e raccontare per superare questa fase in cui ancora l’epidemia non rallenta, e per estrarre indicazioni su come agire in futuro.

Quando la notte del 20 febbraio 2020, a Codogno, venne diagnosticata una grave polmonite da nuovo Coronavirus in un paziente senza apparenti legami con la Cina, fu chiaro che “l’epidemia di Wuhan” – la regione cinese da dove la pandemia risulta originata – aveva raggiunto l’Italia. Presto capimmo, infatti, che le persone colpite da SARS-CoV-2 erano già alcune migliaia, e dopo un paio di giorni venne per la prima volta instaurata una zona rossa estesa a 11 comuni del lodigiano: come forma di prevenzione primaria si indicò il distanziamento sociale nella sua forma estrema, obbligando i cittadini nelle loro case. Le misure di distanziamento mostrarono il loro effetto e l’intensità della trasmissione iniziò rapidamente a diminuire, tanto che Rt – indicatore della diffusione della malattia – all’inizio di marzo era già inferiore all’unità, indicando quindi la riuscita del contenimento del rischio collettivo. Ma i buoi erano già usciti dal recinto e l’epidemia si era ormai diffusa per contiguità verso Bergamo, Brescia e Piacenza, facendo salti a distanza verso il Veneto e la Romagna, e da lì, di nuovo per contiguità, verso il Nord delle Marche. Dopo la chiusura delle scuole, decretata il 4 marzo, l’11 marzo venne deciso il lockdown nazionale: la nazione venne chiamata a un vasto esperimento collettivo per la difesa della salute. Fu invero un lungo lockdown, seguito dal distanziamento sociale che si genera naturalmente nella stagione estiva, allorché scuole e attività lavorative restano chiuse e i trasporti pubblici sono semivuoti. Il conseguente rallentamento della circolazione virale venne probabilmente interrotto dai rientri di viaggiatori che avevano frequentato aree turistiche, in cui la riapertura delle attività ricreative aveva molto plausibilmente determinato un’amplificazione dell’epidemia. Tra settembre e ottobre, con la riapertura di gran parte delle attività, abbiamo assistito a una ripresa dell’epidemia, con tassi di incidenza mai raggiunti a livello nazionale neanche nell’inverno precedente. Una nuova ondata della storia della pandemia che dovremo poi saper raccontare.

Ora, mentre l’anno volge al termine, è importante fare il punto, consolidare ciò che sappiamo e individuare ciò che ancora ignoriamo del potenziale diffusivo e delle dinamiche che caratterizzano il fenomeno pandemico. Abbiamo stime relative al coefficiente di riproduzione di base (il cosiddetto R0), che si aggira intorno a 3; superiore, quindi, a quello dell’influenza stagionale, con cui SARS-CoV-2 condivide il modello di escrezione virale, che raggiunge un picco a ridosso della comparsa dei sintomi. Il fattore K, ovvero l’indice di dispersione, che è elevato per l’influenza (ogni caso ne produce altrettanti) è, invece, più basso per il nuovo Coronavirus (pochi superdiffusori generano tanti casi secondari). Un dato che descrive perché si formino tanti cluster, più o meno estesi, a partire da un singolo caso, e perché l’identificazione precoce di queste catene di trasmissione possa favorirne il contenimento. Se si perde la tracciabilità della trasmissione del virus, risulta quindi difficile porre argine alla sua diffusione.

Vi sono domande ancora senza risposte adeguate. Quanto contribuiscano gli asintomatici alla diffusione dell’infezione è ancora difficilmente quantificabile. La loro carica virale sembra non differire rispetto a quella dei sintomatici, ma l’assenza di sintomi come la tosse potrebbe richiedere un contatto più ravvicinato affinché la trasmissione dell’infezione avvenga. Credo, inoltre, che sia fondamentale, per esempio, acquisire dati da studi analitici sui determinanti delle infezioni che avvengono in comunità e ulteriori stime dell’effetto di popolazione dell’uso generalizzato delle mascherine chirurgiche o “di comunità”. Queste alcune delle domande che ci assillano in una fase nella quale, mentre ripercorriamo la storia dei primi sei mesi della pandemia per trarne insegnamenti, dobbiamo rispondere alla nuova fase pandemica del virus che non rallenta la sua diffusione.

Ciò che non ignoriamo, però, è che, finché non sarà disponibile un vaccino efficace e sicuro, dovremo mantenere comportamenti prudenti ed essere pronti a identificare e isolare o porre tempestivamente in quarantena casi e contatti. Misure di prevenzione individuali e collettive che dobbiamo assumere per la tutela della salute pubblica in un’epoca pandemica così da affrontare le esigenze della nostra economia, che non sopporterebbe il peso di un nuovo lockdown generalizzato. Scelte che, se seguiremo collettivamente come nazione, ci porteranno in futuro a raccontare una storia nella quale il virus è stato contenuto e – ci auguriamo – debellato.

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