È stato molto evidente sin dai primi casi accertati di contagio da Coronavirus che la questione più complessa da decidere era cosa scegliere tra il contenimento della diffusione dell’epidemia e la difesa del sistema economico locale e nazionale.

Le scelte sono state diverse nel tempo: quando le prime notizie venivano dalla Cina non si è pensato di attivare misure sanitarie che invece sono state decise quando i primi casi sono stati diagnosticati in Italia. Ma poco dopo le voci di allarme che venivano dal modo economico hanno riportato il paese verso scelte che prescindevano o quasi dal rischio sanitario. Nella fase acuta dell’epidemia, invece, non ci sono stati più né dubbi né tentennamenti: si è chiusa l’Italia con un lockdown molto rigido.
Si è tornati invece a parlare di emergenza economica quando il contagio si è ridotto e i casi sono diminuiti in Italia a poco più di un centinaio e la maggioranza nella sola Regione Lombardia.

Ma quali possono essere i criteri con cui si arriva a decidere se sia meglio garantire il massimo possibile di salute o il minor rischio di deprimere la situazione economica? È possibile bilanciare i due aspetti e stabilire di conseguenza quale pesi di più?

Viene subito ovviamente da pensare di utilizzare le metodiche della valutazione economica molto utilizzate in sanità, ma ci si deve chiedere se le alternative sia meglio misurarle in termini di costi monetari, con la cosiddetta Cost-Benefit analysis, o in termini di costi di salute e costi sociali, come in una analisi costi efficacia o costi utilità o similari?

Si potrebbe ad esempio iniziare valutando quanto sono i costi diretti di assistenza ai malati di coronavirus che sono stati diagnosticati come tali. Una recente stima ipotizza che un paziente grave costi in media per il sistema sanitario da 9.000 a 22.000 €; questa cifra (vedi: www.nursetimes.org/coronavirus-il-costo-di-un-paziente-da-9-a-22mila-euro/93611) varierà naturalmente molto a seconda delle cure ricevute, anche solo domiciliari, e della necessità ed eventualmente durata del suo ricovero, ma non si dovrebbe sbagliare di molto se si assumesse un valore medio di 6.000€ applicandola genericamente a tutti i casi positivi da febbraio a fine giugno, e si arriverebbe così alla stima grossolana di un miliardo e mezzo di euro.
Se non ci fosse stata una politica di prevenzione con lockdown alcune stime ipotizzano che i malati gravi ed i deceduti sarebbero stati almeno cinque volte tanti e quindi i costi sarebbero stati per la sanità di circa 7 miliardi e mezzo di euro e quindi il lockdown avrebbe fatto risparmiare alla sola sanità  almeno 6 miliardi.

Ma quanto può essere costato la pandemia ed il lockdown alla intera società? Ai costi della sanità si dovrebbero aggiungere i costi Indiretti e soprattutto la valutazione del valore della vita per i 34.000 deceduti, valutazione sempre molto difficile e problematica soprattutto perché molti dei deceduti sono stati di età molto anziana per la quale la valutazione del valore economico della vita non può essere molto elevata dato che hanno perso pochi anni di vita. Se valutassimo in 4.000 € i mancati guadagni di tutti i positivi e in 200.000 € il valore medio della vita (forse sottostimato) dovremmo aggiunge 1 miliardo per i primi e 7 miliardi per i deceduti. Si arriverebbe così alla somma di 9 miliardi e mezzo il costo sostenuto dalla società per i malati. Una stima molto grossolana ma probabilmente non lontana dal vero.

Ipotizzando che i mancati guadagni riguardino 10 milioni di lavoratori per una cifra a testa di 4.000 euro arriveremmo alla stima di 40 miliardi Non so se queste cifre sono realistiche però non è difficile supporre che dal punto di vista strettamente economico il lockdown potrebbe anche non essere ritenuto cost-benefit per la società mentre sicuramente lo è stato per il sistema sanitario che ha risparmiato i costi dei malati evitati.
Si può peraltro ritenere che il lockdown abbia anche indotto altri costi sanitari nella popolazione che non è stata curata in questi mesi e che graverà maggiormente rispetto a quanto sarebbe successo senza lockdown.

Un approccio come questo (spero meno grossolano) è quanto devono aver ritenuto utilizzare coloro che, come Boris Johnson prima e Donald J.Trump dopo ma anche alcuni stati come ad esempio la Svezia,  hanno pensato di evitare misure drastiche di lockdown. Potremmo ragionare cosa sarebbe successo in questo casso.

L’alternativa al lockdown sarebbe stata nessuna chiusura delle attività produttive e attesa del vaccino e dell’immunità di gregge, ipotizzando ad esempi una attesa 1 anno. In questo caso il beneficio sarebbe stata la prevista crescita del Pil nel 2020 pari allo 0,6% stimato dal MEF (+10,7 miliardi) mentre i costi sarebbero stati enormi in termini di costi assistenziali e di perdita di vite umane e si può fare una stima, sulla base dei dati precedenti e probabilmente si potrebbe arrivare a concludere che il lockdown sia stato conveniente anche in termini strettamente economici.

A seconda di come si giocano i costi ed i benefici si potrebbe arrivare a conclusioni anche divergenti. E comunque occorrerebbero dati e misurazioni ben più fondate di quelle grossolane qui solo accennate. Ma se si abbandona, come credo sia giusto fare, l’approccio costi benefici in termini monetari e si considera un approccio costi efficacia in termini di salute allora si deve considerare se il bilancio complessivo della salute della popolazione italiana in tutto il 2020 sarà migliore con o senza lockdown. Il virus durante il lockdown ha prodotto 34.000 decessi, quanti ne avrebbe prodotti senza lockdown? Sicuramente molti di più. Però ci si deve chiedere se a sua volta il lockdown non abbia conseguenze sanitarie ed economiche tali cui potrebbero essere attribuiti un numero non trascurabile di decessi. È difficile però contestare che in termini di salute le misure di contenimento e di distanziamento imposte abbiano dato un notevole vantaggio in termini di efficacia.

Potremmo aggiungere un terzo approccio considerando anche i vantaggi o i disagi anche non sanitari e non economici che tutti gli individui pensano di aver avuto. È probabile che se avessimo lasciato a ciascuno la libertà di scegliere (cosa ovviamente impossibile) tra lockdown e normalità, la maggior parte sino ad un determinato livello di drammaticità dell’epidemia avrebbe scelto la normalità. È quanto sta succedendo adesso in cui per molte persone è meglio poter tornare del tutto alla vita normale senza restrizioni che dover accettare delle limitazioni alla loro vita sociale e dover adeguarsi a misure come l’uso delle mascherine.

È allora evidente che non può essere solo una analisi tecnica costi benefici, pur meno grossolana e meglio documentata di quella da noi prima tratteggiata, che determini una politica sanitaria in tempi di pandemia. La scelta può essere in definitiva solo politica anche se i politici devono fondare la loro decisione il più possibile su dati reali. Ma come scegliere? In base al consenso o in base ai valori? E contano le valutazioni medie di costi e di benefici oppure si devono considerare diversamente gli interessi di coloro che subiranno un danno di salute da coloro che avranno un danno economico? Ed è giusto ad esempio chiedere a degli operai di accettare un rischio maggiore di contagiarsi per evitare che l’azienda entri in crisi? E per coloro che devono necessariamente garantire i servizi essenziali? Addetti ai settori della sanita, dell’alimentazione, della sicurezza, dei trasporti, ecc.?

Scelte difficili e drammatiche di cui forse neppure i governanti si sono resi sino in fondo conto di cosa comportassero e che quasi sicuramente la popolazione ha approvato o ha criticato più per appartenenza ai partiti di maggioranza od opposizione che per convinzione sulla loro appropriatezza.

Il dibattito però dovrebbe svilupparsi maggiormente ora che la situazione è relativamente calma perché solo la consapevolezza di ciò che si ritiene sia più giusto potrà portare nel caso di future scelte ad una rigorosità decisionale che sia sempre di meno simile a quella del lanciare una monetina per vedere se esca testa o croce.

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