Ripudiamo la guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali, condanniamo l’aggressione dell’esercito russo verso la popolazione ucraina; sosteniamo con forza che è dovere professionale di tutti gli operatori di sanità pubblica agire per la prevenzione dei conflitti armati e per la promozione della pace e del disarmo.

Nel 1981, l’Assemblea Generale dell’Organizzazione mondiale della sanità1 ha dichiarato che il ruolo dei medici e di tutti gli operatori sanitari nella conservazione e nella promozione della pace è il principale fattore per il raggiungimento della salute per tutti.
Nel 2001, l’Associazione Italiana di Epidemiologia dichiarava2 che la prevenzione delle perdite umane dovute alla guerra e al terrorismo rientra nella missione degli operatori sanitari al pari della prevenzione delle malattie e di altre cause di morte: su questi principi, nel 2004 si è costituito il Gruppo di lavoro AIE e guerra, coordinato da Giuseppe Gorini e Pirous Fateh-Moghadam, con l’obiettivo di approfondire il tema delle conseguenze sanitarie di guerra e terrorismo e di esplorare quale ruolo specifico e quali possibili attività di prevenzione potrebbero essere svolti in questo campo da chi si occupa di epidemiologia e di sanità pubblica in Italia.
I risultati delle attività condotte sono riportati in un articolo pubblicato su Epidemiologia&Prevenzione.3 Il GdL AIE metteva in evidenza che, a fronte delle conseguenze dirette e indirette delle guerre sulla salute, non è possibile assumere una posizione di neutralità: proprio in quanto operatori sanitari, è essenziale assumere una posizione esplicitamente partigiana di rifiuto e opposizione a guerra e terrorismo, sottolineando come l’unico modo di affrontare questi fenomeni sia quello della prevenzione. 
Le giustificazioni dei conflitti sono per lo più di tipo economico e geopolitico; «se non è nostro compito bilanciare i diversi interessi in campo prima di esprimerci, è invece nostro dovere professionale esprimere un giudizio di parte a difesa della salute», affermava il GdL.
Provando a declinare i compiti specifici della sanità pubblica in contesti di guerra, possiamo individuare:

  • la gestione dell’emergenza, individuando le priorità e disegnando gli interventi;
  • la descrizione degli effetti diretti e indiretti associati ai conflitti bellici;
  • la prevenzione non solo degli effetti, ma dei conflitti stessi.

Quest’ultimo tema è ben delineato da Pirous Fateh-Moghadam in un suo recente contributo4 che collega la promozione della pace anche alla necessità di agire sui determinanti delle guerre, che sono dentro le condizioni economiche e sociali che le favoriscono.
La prevenzione dei conflitti passa necessariamente da un ripensamento delle attuali logiche di sviluppo: più chiaramente che in altre circostanze, l’aggressione russa in atto è collegata al tema dell’energia e del dominio sulla distribuzione dei combustibili fossili. Gli effetti sui mercati sono già visibili, con un aumento dei costi che rischia di mettere in ginocchio molti sistemi economici.
Le risposte che vengono fornite appaiono totalmente inadeguate, di conservazione di modelli di sviluppo e produzione alla base di questo e di tanti altri conflitti, ma anche dei processi di cambiamento climatico e di compromissione della qualità dell’ambiente, responsabile di imponenti effetti ambientali sanitari negativi. 
Nei giorni scorsi è stata avviata un’iniziativa dal Gruppo Mind’s for One Health,5 cui AIE ha aderito, che ha provato a ribaltare l’approccio, indicando due soluzioni: 

  1. accelerare il passaggio verso le energie alternative;
  2. adottare un Piano emergenziale straordinario di misure per il risparmio energetico, introducendo il concetto di sufficienza (sobrieté).

Abbiamo, in questi mesi di emergenza sanitaria, usato il termine sindemia per richiamare le complesse interazioni tra fattori biologici, ambientali e sociali che concorrono a incrementare la suscettibilità individuale e di gruppi vulnerabili di popolazione peggiorando gli esiti di salute e sostenuto la strategia dei cobenefici, cioè di politiche di investimento e crescita autenticamente sostenibili, in grado di legare lo sviluppo alla promozione contestuale del miglioramento della qualità ambientale e alla tutela della salute degli esseri viventi.
Queste politiche sono anche politiche di pace, di mitigazione dei contrasti, di prevenzione delle violenze, che si devono accompagnare a iniziative coordinate e permanenti di sostegno e di accoglienza delle popolazioni che soffrono delle conseguenze dei conflitti e dei danni ambientali indotti dall’attuale modello di sviluppo, della tremenda invasione di questi giorni, come di tutte le tante guerre dimenticate, ovunque presenti nel mondo. 
Su questi temi, ci piacerebbe rilanciare un’iniziativa per sostenere le azioni a favore della pace, ripartendo dall’esperienza virtuosa del GdL AIE e guerra e, nell’immediato, attuando le azioni indicate da Rodolfo Saracci (vd. sotto).
Nel frattempo, come Associazione Italiana di Epidemiologia vorremmo contribuire, per quanto possibile, al diritto allo studio e alla ricerca dei giovani ricercatori e ricercatrici ucraini che in questo momento si trovano in condizioni di massimo rischio. 
Per questo, ci stiamo impegnando per lanciare una campagna di raccolta fondi per istituire delle short term mission da destinare a ricercatori e ricercatrici che operano nel nostro settore ospitandoli presso enti italiani afferenti alla nostra associazione (per informazioni, scrivere a: aie.congressi@gmail.com).

Lucia Bisceglia


Scrive Lucia Bisceglia, riprendendo dal Gruppo di lavoro AIE e guerra: «Le giustificazioni dei conflitti sono perlopiù di tipo economico e geopolitico; se non è nostro compito bilanciare i diversi interessi in campo prima di esprimerci, è invece nostro dovere professionale esprimere un giudizio di parte a difesa della salute». Il “professionale” include chiunque, quali ne siano la formazione, le qualificazioni, la posizione istituzionale, eserciti il proprio lavoro nell’ambito dell’epidemiologia e come tale si consideri come facente parte – nella sostanza e indipendentemente da inquadramenti ed etichette ufficiali – di una “professione sanitaria”. 
Questo personale punto di vista, riflesso anche nel titolo di un recente articolo,6 non è condiviso, o lo è con importanti riserve, da una parte non trascurabile degli epidemiologi che si identificano essenzialmente come “ricercatori” dedicati alla produzione di informazioni e conoscenze, dalle più umili e di “routine” alle più avanzate, di per sé utili alla salute senza che esista l’esigenza di essere parte attiva nel trasferimento delle conoscenze alle decisioni e nelle prese di posizione in ambito sanitario. 
Sottolineare la divergenza tra questi due punti di vista non è un futile preziosismo, ma un elemento che proprio in questo momento, nel corso di una guerra in atto in cui il nostro Paese è coinvolto, è di critica importanza. Infatti, per il fondamentale ruolo umanitario di protezione della vita e della salute, è riconosciuto alle professioni sanitarie, uniche tra tutte le altre, il privilegio di essere protette da sanzioni, attacchi, violenze in contropartita dell’obbligo di essere impegnate concretamente e permanentemente per la salute di ogni persona, senza distinzioni e discriminazioni di alcun genere (detto brutalmente, non si tira sull’ambulanza che trasporta insieme amici e nemici feriti, ma si può tirare sul pianista e il ricercatore). 
Lungo che linee è possibile contribuire, individualmente e associativamente, a questo ruolo di “epidemiologi con la croce rossa” nel momento attuale di acuzie della guerra? Almeno lungo tre linee:

  • sollecitando il Ministero della salute ad attivare tutti i canali di “diplomazia della salute” ad esso pertinenti, diretti con i Paesi in guerra e mediati via organismi come OMS e UNICEF allo scopo di un’immediata sospensione delle operazioni di guerra e apertura di effettive, non solo simboliche, negoziazioni;7
  • collegandosi fin dove possibile al personale sanitario di Ucraina e Russia per pervenire allo stesso scopo; è a dir poco acrobatico l’argomentare in base al quale la European Society of Cardiology7 si è mossa esattamente in direzione opposta, sospendendo temporaneamente i cardiologi russi: ed è deprimente il confronto col fatto che, malgrado la guerra fredda, sono stati proprio due cardiologi di Stati Uniti e Unione Sovietica a fondare nel 1980, grazie a un’azione congiunta, la International Physicians for the Prevention of Nuclear War;8 
  • prestando supporto a livello nazionale e regionale all’osservazione epidemiologica per l’assistenza sanitaria della crescente popolazione di rifugiati.

Una volta che il massacro in corso si arresterà, torneranno a essere almeno udibili i discorsi vecchi8 e nuovi sulla prevenzione della guerra.

Rodolfo Saracci

Bibliografia

  1. World Health Organization. Thirty-fourth World Health Assembly, Geneva, 4-22 May 1981: resolutions and decisions, annexes. Disponibile all’indirizzo: https://apps.who.int/iris/handle/10665/155679
  2. Dichiarazione dell’Associazione Italiana di Epidemiologia sulla guerra. Epidemiol Prev 2001;25(4-5):160.
  3. Fateh-Moghadam P. per conto del Gruppo di Lavoro AIE-Guerra. Epidemiologia e conflitti armati. Riflessioni dopo due anni di attività del gruppo di lavoro AIE-Guerra. Epidemiol Prev 2007;31(5):295-96.
  4. Fateh-Moghadam P. La guerra in Ucraina: un punto di vista sanitario. 18.03.2022. Disponibile all’indirizzo: https://ilpunto.it/la-guerra-in-ucraina-un-punto-di-vista-sanitario/
  5. Gruppo Mind’s for One Health Presa di posizione su Guerra in Ucraina ed emergenza energetica. 03.03.2022. Disponibile all’indirizzo:  https://ambientenonsolo.com/guerra-in-ucraina-ed-emergenza-energetica/
  6. Saracci R. Counterpoint: Epidemiology’s dual commitment – Science and Health. Am J Epidemiol 2021;190:980-83.
  7. European Society of Cardiology. Letter to all National Societies. In: http://www.escardio.org/ESC-statement-on-the-war-in-ukraine/9-march-2022
  8. Saracci R. Preventing War. Journal of Public Health Policy 1991;12:265-269.
          Visite