L’epidemia di COVID-19 ha accelerato un fenomeno già in corso negli ultimi 20 anni nella sanità dei Paesi a più alto sviluppo economico e sociale: il continuo incremento del numero di cittadini che hanno avuto (o hanno) una patologia oncologica e che di conseguenza si devono sottoporre a cure e controlli per lungo tempo, determinando una pressione sempre più forte sulle strutture, sul personale e sui costi sanitari.

Le dimensioni del problema, troppo spesso dimenticate, sono realmente impressionanti: nel volume I numeri del cancro1 si stima che nel 2021 in Italia vi siano state 377.000 nuove diagnosi di tumore (più di 1.000 casi al giorno, circa 195.000 uomini e 182.000 donne) e i decessi siano stati 181.330 (100.200 uomini e 81.100 donne).
I dati di prevalenza sono ancora più importanti: oggi in Italia abbiamo circa 3.600.000 persone che hanno avuto nella loro vita l’esperienza di una neoplasia, con un aumento del 37% rispetto al 2010.

Ma questa popolazione è molto eterogenea: ai completamente guariti (27%), si associano le persone in trattamento adiuvante o in follow-up, che avranno ottime probabilità di guarire, o in cura per malattia in fase avanzata o in cure palliative, per i quali possiamo sperare solo in un prolungamento della sopravvivenza o nel controllo dei sintomi.2,3
Per contro, gli specialisti oncologi sono circa 2.200 e il rapporto medico/pazienti con malattia conclamata o in follow-up si avvicina ormai a un insostenibile rapporto di 1/1.600.

Considerando, infine, che un paziente oncologico, soprattutto se in cura attiva o palliativa, necessita di una visita ogni 21-28 giorni, si comprende che il vecchio sistema di assistenza rappresentata dal rapporto diretto oncologo-malato non è più sostenibile.

Valorizzare il territorio

La specialità in oncologia è nata dalla medicina interna con una connotazione ospedaliera e per molti aspetti mantiene tale caratteristica. Pochissimi sono i casi di oncologi non ospedalieri che agiscono esclusivamente in ambulatori periferici.

Ma, di fronte a una malattia che sta diventando sempre più cronica, con lunghi tempi di cura e di controlli, la necessità del coinvolgimento del territorio è indispensabile. E per territorio non si intendono i piccoli ospedali delle valli che possono essere riabilitati per praticare qualche terapia o per svolgere compiti eminentemente burocratici, ma si intende coinvolgere una vasta platea di medici, infermieri e psicologi che sappiano trattare i pazienti oncologici in modo globale.

Quali azioni restano specifiche per gli ospedali e quali possono essere demandate al territorio?

Nella più recente visione organizzativa, resta sicuramente ospedaliera la fase chirurgica di cura dei tumori, dove anzi si auspica sempre di più la concreta realizzazione di Centri di riferimento per migliorare i risultati e gli esiti. 
È ospedaliera, perché vincolata agli apparecchi, la radioterapia. È ospedaliera la terapia medica attiva, soprattutto endovenosa, e lo sono le terapie sperimentali. Deve essere ospedaliera la preparazione centralizzata dei farmaci, che ha cancellato le preparazioni frazionate, non sicure e molto costose. Restano ospedaliere la gestione e la cura di tossicità gravi indotte dalle terapie.

Al contrario, debbono spostarsi sul territorio la prevenzione primaria intesa come educazione sanitaria sugli stili di vita, lo screening che deve essere calato nella popolazione generale per essere compreso e aumentarne la partecipazione, il trattamento integrato tra specialisti in caso di polipatologie (cardiologi, diabetologi, neurologi), il follow-up dopo il 5° anno, l’assistenza domiciliare, il trattamento di tossicità non gravi. 

Resta terreno di piena integrazione tra ospedale e territorio il counselling genetico in quanto il colloquio tra genetista e paziente può avvenire in periferia, ma i test genetici vanno centralizzati. La riabilitazione, infine, può iniziare in ospedale per poi passare rapidamente sul territorio.

Gli strumenti della telemedicina devono essere implementati per favorire prenotazioni e consulti a distanza, come già è avvenuto durante la pandemia di COVID-19.4,5

Quali sono le necessità per un corretto governo clinico della collaborazione tra ospedale e territorio?

Il primo mandato è che non si creino due camere stagne che non comunicano tra di loro. Il segreto per ottenere questa collaborazione continuativa sta certamente nel creare équipe comuni e percorsi di salute e diagnostico-terapeutici assistenziali (PSDTA) condivisi.

Sul primo aspetto, vi è ormai una diffusa accettazione: non ha significato uno specialista ambulatoriale isolato dall’ospedale e privo di scambi culturali; al contrario, l’oncologo che agisce sul territorio deve essere una parte dell’équipe ospedaliera che si distacca in determinati giorni e va nelle case della salute o nelle progettate case di comunità per interagire con i medici di medicina generale (MMG), con gli altri specialisti e con gli infermieri per erogare i servizi al malato. Poi rientra in ospedale, dove risiede il suo percorso di formazione continua.5,6
Sul tema della condivisione culturale, è certamente indispensabile che nelle équipe multidisciplinari che discutono i casi clinici ci siano sempre i MMG e gli infermieri di comunità che intervengono in presenza o attraverso i mezzi informatici.4 Solo il costante scambio di idee e di aggiornamento permette di garantire un’assistenza di alto livello. Lo stesso per i mezzi di discussione comune: le linee guida e i PSDTA devono essere condivisi tra tutti i membri dello staff e costantemente aggiornati.

Un mezzo strategico della collaborazione ospedale-territorio è la disponibilità di piattaforme informatiche condivise e usufruibili da tutti. Questo aspetto è di tale importanza che ha un capitolo dedicato nel PNRR in via di realizzazione. Infatti, il Piano prevede l’investimento di 2,6 miliardi di euro per l’ammodernamento tecnologico e informatico in sanità per permettere anche un dialogo facilitato tra sanitari da un lato e malato, caregiver e famigliari dall’altro.

Ad oggi, molte sono le difficoltà da superare. Innanzitutto, la piattaforma deve essere realmente universale, per permettere un dialogo facile e costante. In secondo luogo, deve integrare le piattaforme esistenti, in molte occasioni acquistate dalle ASL o dalle aziende sanitarie ospedaliere senza porsi il problema dell’interfaccia con altri sistemi. Per esempio, nella sola Rete oncologica del Piemonte e Valle d’Aosta esistono ben 33 programmi informatici chiusi in loro stessi. Il superamento di questa parcellizzazione incontrerà forti resistenze da parte dei provider dei singoli sistemi destinati a essere assorbiti.

Si tratterà, poi, di ottenere l’autorizzazione da parte del Garante della privacy per la circolazione libera ma protetta dei dati. Per contro, sarà indispensabile avere una costante garanzia di protezione dalla violazione dei dati o dal loro blocco a scopo di ricatto (ransomware) con un piano molto preciso di disaster recovery in caso di violazione.4
Il problema è assolutamente prioritario a fronte della molteplicità degli utenti che avranno l’accesso.
Infine, l’ultimo scoglio è rappresentato dalla scarsa alfabetizzazione ai sistemi informatici sia della popolazione italiana sia dei sanitari, che dovranno quindi essere adeguatamente istruiti per accedere con dimestichezza ai programmi.

Qual è la finalità di questa necessaria integrazione tra ospedale e territorio?

Gli scopi sono molteplici, ma prima di tutto facilitare le cure e la qualità di vita dei malati.4-7 Il malato, soprattutto se con malattia in atto, dovrà curarsi per tutta la vita restante e deve poterlo fare in modo sicuro, protetto e possibilmente vicino a casa, riducendo al minimo gli spostamenti e i costi diretti e indiretti a essi connessi (trasporti, parcheggi, ore di lavoro perse).

I trattamenti chirurgici, radioterapici e di oncologia medica innovativi continueranno a trovare sede in ospedale, meglio se di riferimento.4,5 Ma le visite, le terapie orali o di facile somministrazione, il follow-up e le cure palliative dovranno delocalizzarsi per lasciare ad altri malati il posto nell’ospedale per acuti.4-7 I momenti di informazione e di formazione rivolta a pazienti e caregiver e la riabilitazione troveranno sede molto più consona sul territorio. Il territorio dovrà, infine, prevenire l’uso inappropriato del pronto soccorso, perché il malato non dovrà più sentirsi solo e senza risposte.6,7

Gradualmente, si comprenderà come non siano sempre necessarie visite cliniche in presenza, ma un monitoraggio dello stato di salute è possibile anche via web, riducendo gli spostamenti del malato, dei famigliari e dei sanitari.
Occorre giungere con gradualità ma senza indugi a questo cambiamento che, senza dubbio, potremo chiamare la quarta Riforma sanitaria del SSN, anche sperimentando e confrontando tra loro diversi modelli organizzativi.4-7
L’alternativa non esiste, se non tragica: la morte del SSN per insostenibilità di impegni e costi.

In questo periodo, in cui si calcola la carenza di 60.000 infermieri e di 8-9.000 medici sul territorio nazionale, una sanità – e soprattutto un’oncologia – incentrata solo sull’ospedale non è più proponibile.7
D’altro canto, sono sempre più numerosi i malati che, per mancanza di risorse economiche o di supporto nei trasferimenti, abbandonano le cure.8

L’augurio è che il nuovo DM 71 e il PNRR possano favorire l’alleanza ospedale-territorio in modo da garantire la sopravvivenza del SSN equo e universale.

Conflitti di interesse dichiarati: nessuno.

Bibliografia

  1. Direttivo AIRTUM e AIRTUM Working Group. I dati nazionali. In: I numeri del Cancro 2019. 17-42 2019
  2. Rosso S, Casella C, Crocetti E, Ferretti S, Guzzinati S (eds). Sopravvivenza dei casi di tumore in Italia negli anni novanta: i dati dei registri tumori. Epidemiol Prev 2001;25(3) Suppl 1.
  3. Guzzinati S, Virdone S, De Angelis R et al. Characteristics of people living in Italy after a cancer diagnosis in 2010 and projections to 2020. BMC Cancer 2018;18(1):169.
  4. Jafford M, Howell D, Li Q et al. Improved models of care for cancer survivors. Lancet 2022;399(10334):1551-60.
  5. Mordenti P, Proietto M, Citterio C, Vecchia S, Cavanna L. La cura oncologica nel territorio. Esperienza nella Casa della Salute: risultati preliminari nella provincia di Piacenza. Recenti Prog Med 2018;109(6):337-41.
  6. DM n.71 del 21.04.2022 “Delibera sostitutiva dell’intesa della Conferenza Stato-regioni, relativa allo schema di decreto del Ministro della salute, concernente il regolamento recante «Modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale». Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.102 del 03.05.2022.
  7. Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servisio Sanitario Nazionale. Disponibile all’indirizzo: https//www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1650560930.pdf
  8. Perrone F, Gallo C. Le dolenti note. La tossicità finanziaria del paziente oncologico.Recenti Prog Med 2016;107(12):619-21.
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