Nei giorni scorsi durante un interessante Webinar, Fulvio Moirano, già mio direttore in Agenas, affermava che per migliorare il Servizio Sanitario non bastavano degli aggiustamenti ma serviva discontinuità. Questo concetto che io mi ero già trovato ad esprimere varie volte credo sia fondamentale ribadirlo di questi tempi, sia per la presenza di questa grave pandemia da Covid-19, sia per le risorse del Recovery Fund messe a disposizione, per lo più come prestito,  dalla Unione Europea.

Nella storia delle organizzazioni complesse, come il nostro SSN, accade sempre che con il passare del tempo si accumulano oltre alle positività anche le negatività, sia come vecchie soluzioni superate, sia come privilegi incartapecoriti, sia come inerzie ed isteresi organizzative che ostacolano il rinnovamento.

Se il sistema ad esempio è stato sotto finanziato, se ci si limita ad elargire più risorse è probabile che queste vadano maggiormente ad allocarsi nelle fasce di inefficienza e di privilegi che non in nuove spinte di maggior efficacia. Se in un sistema una situazione negativa ha resistito nel tempo è probabile che abbia una forte capacità di respingere qualsiasi correttivo. Si deve allora cogliere i momenti di crisi nei quali il sistema nella sua globalità perde forza per innescare un processo di ricostruzione virtuoso.

Probabilmente non sarebbe stato possibile arrivare alla riforma Depretis Crispi del 1888 (legge 22/12/1888, n.5849) se non fosse stata preceduta da epidemie di Vaiolo e di Colera che esigevano una risposta efficace di sanità pubblica. Anche l’epidemia di Spagnola del 1919/20, pur in un contesto politico tortuoso e certamente non condivisibile, però ha premuto per molte riforme di assistenza sanitaria che hanno portato all’istituzione dell’assistenza mutualistica sino al testo unico delle leggi sanitarie del 1934. (R.D. 27/7/1934 n.1265).

Anche la riforma del 1978 (legge 23/12/1978 n.833) non sarebbe stata possibile se non ci fosse stata la rottura sociale rappresentata dal movimento del ’68. Fu approvata alla quasi unanimità dieci anni dopo ma in quei dieci anni il dibattito fu molto vivace, approfondito e produttivo.

Sui valori contenuti nella 833 non c’è molto da cambiare, ma sicuramente bisogna ripensare se è ancora tutta attuale, o meglio se lo siano le modalità con cui essa è stata via via applicata.

La società è cambiata, il quadro epidemiologico è cambiato, la tecnologia sanitaria è cambiata, la scienza medica è cambiata, le aspettative della popolazione sono cambiate: si può lasciare il sistema solo a rotolare su se stesso?

Ci sono due scelte di fondo da cui non si può non partire: se il sistema deve privatizzarsi nella funzione di tutela o se contrariamente deve invece essere sempre più universalistico; e poi se il sistema deve ricentralizzarsi ovvero se deve diventare capace di coniugare l’autonomia con la responsabilità e il rispetto dei comuni bisogni.

Si dice che siamo in un periodo “de-ideologizzato” ma nei confronti dell’impostazione di un sistema sanitario sopravvivono ancora certamente dei riferimenti ideologici che sommariamente possiamo definire liberali o sociali/socialisti.

Chi si rifà ai principi del Liberismo sanitario ritiene che sia esclusivamente un problema del singolo la tutela della propria salute mentre alle istituzione rimangono solo due compiti: quello cosiddetto di polizia sanitaria, cioè di difesa dalle possibili azioni eseguite contro l’altrui salute,  e la  garanzia che i servizi sanitari  predisposti da imprenditori privati siano servizi qualificati e di buona qualità.

Quello che invece possiamo chiamare Socialismo sanitario ritiene invece che le istituzioni debbano prodigarsi per tutelare la salute dei cittadini e non solo difendendoli da attacchi esterni ma anche sviluppando azioni di prevenzione e promozione della salute, di diagnosi e terapia, nonché di riabilitazione e di assistenza e non solo sul versante clinico ma anche psicologico e sociale.

Il SSN oggi in larga parte si è ridotto ad essere un sistema che si occupa solo di malattie e non di salute. Certamente è importantissimo che abbia eccellenti capacità sul versante clinico, medico e chirurgico, ma ciò non è sufficiente. Il SSN deve occuparsi di tutto ciò che riguarda la salute nel significato più ampio di benessere delle persone. E non si dica che questo è assistenzialismo costoso e contrario al progresso sociale ed economico; è invece un assumersi da parte della comunità, in modo condiviso, dei bisogni delle persone.

Se oggi la crisi epidemica potrebbe aprire un’opportunità per creare una discontinuità con una riforma della sanità, ci si deve però rendere conto che nelle precedenti riforme del 1888 e del 1978 vi è stato almeno un precedente decennio di approfondimenti e di dibattiti che hanno poi portato il Parlamento a votare con la quasi unanimità.

Si dovrebbe perciò avviare nei diversi settori del paese una riflessione su quali siano i problemi che si dovrebbero risolvere attraverso una coraggiosa attività di riforma. Accenniamo solo ad alcuni di cui ci si dovrebbe inevitabilmente e prioritariamente occupaewi: la medicina di base (MMG) che deve diventare un punto di presa in carico dei problemi delle persone e non solo un terminale burocratico dell’assicurazione malattia. Ed in tal senso deve diventare capace di occuparsi di prevenire situazioni riguardanti sia gli individui sia le comunità e deve essere per ogni  cittadino il punto centrale  di accesso ai servizi alla persona capace di interagire con tutte le altre figure professionali.

Si devono poi strutturare dei luoghi, in senso organizzativo oltre che strutturale, dove il malato possa essere preso in carico in modo unitario e multidisciplinare e non sballottato da uno specialista all’altro, da un laboratorio ad una radiologia, ecc. come invece oggi accade, con disagio per le persone ma anche con diseconomie per i bilanci della sanità. Inoltre è ormai indispensabile che il sistema sanitario si prenda in carico ilk problema della cronicità e della domiciliarità dei cittadini fragili.

Tutti questi, e diversi altri,  sonoei problemi da affrontare e da risolvere le loro soluzioni comportano vari aspetti medici, sociali, organizzativi, economici e giuridici. Non ci si può poi dimenticare che il sistema sanitario deve essere pronto ad affrontare delle nuove emergenze come lo è l’attuale epidemia ma non può certo dimensionarsi per affrontare qualsiasi soluzione, per cui sarà necessario che sappia dotarsi della necessaria flessibilità verso nuovi ed eventuali improvvisi bisogni.

Infdine non scordiamoci che le riforme innescano sempre anche forti resistenze e quindi non si possono realizzare senza creare delle discontinuità che potrebbero togliere molte voci di consenso se la grande maggioranza del paese non arrivasse a desiderare che la riforma venisse correttamente attuata.

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