Signor direttore, le scrivo nella speranza che la sua rivista, che peraltro si è già occupata in passato della questione (Epidemiol Prev 2001; 25(3): 104-12), possa contribuire a promuovere un accurato studio epidemiologico sulla questione dell’uranio impoverito, ora che il fenomeno manifesta i segni di un decremento (almeno per quanto riguarda l’impiego italiano in zone contaminate).

Lo studio effettuato dalla Commissione Mandelli è purtroppo affetto da tanti, gravi, errori. Ne elenco qualcuno:

come modello di distribuzione probabilistica è stata adottata la distribuzione di Gauss invece di quella di Poisson; non sono stati presi in considerazione i casi verificatisi in Somalia; si è confuso il numero delle missioni con quello di soggetti a rischio (cito per esempio il caso del tenente colonnello Emerico Laccetti, che da solo ha effettuato 48 missioni); non è stata fatta alcuna discriminazione tra tipi di missione (moltissime hanno avuto la durata di un solo giorno, come le missioni di volo dall’Italia ai Balcani); non sono state considerate le «destinazioni », ma solo le «missioni» (una missione può durare tre settimane, mentre una destinazione può arrivare a tre anni, con un rischio quindi molto più alto); tra le vittime non sono stati inclusi i bambini nati malformati; è stata prestata attenzione solo ai tumori, senza tenere conto delle malattie genetiche e neruologiche, come la SLA; non sono stati forniti dati circa i «monitoraggi » effettuati in base all’accordo Stato-Regioni (i dati peraltro riguardano solo i militari, dimenticando così i civili); tra le vittime, non si sono considerate le storie personali dei singoli casi, che dovrebbero essere ricavate dalle «storie delle attività dei reparti» che, per quanto riguarda le Forze Armate, sono trasmesse dai singoli reparti agli archivi dello Stato Maggiore della Difesa; infine, nel valutare i rischi la Commissione non ha operato alcuna distinzione tra personale che aveva adottato misure di protezione e personale che non le aveva adottate, includendo così indebitamente, nelle 40.000 considerate, circa 12.000 missioni con un ben diverso grado di rischio.

C’è da osservare che oggi siamo nella più grande incertezza circa i dati da prendere in considerazione per un’analisi epidemiologica. Secondo le indicazioni ufficiali del Ministero della difesa (attinenti solo al personale militare) i casi di malattia nel 2007 sarebbero stati 312 (dato riferito alla Commissione di inchiesta del Senato). Ma alla stessa Commissione è stato riferito che il GOI (Gruppo operativo interforze della Sanità militare) aveva preso in considerazione 1.991 casi... Accedi per continuare la lettura

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