Parlando di efficienza e di equità in campo sanitario è opportuno dichiarare qual è il significato che attribuiamo ai due termini. Per efficienza qui si intende quella globale, cioè sia produttiva che allocativa, definibile come rapporto tra l’utilità prodotta e le risorse consumate per produrla. Per equità invece si intende la situazione che garantisce uguali possibilità a tutti i soggetti nel poter soddisfare in pari misura i propri reali bisogni di salute.

Se le risorse non fossero limitate non si porrebbe né la questione dell’efficienza né quella dell’equità, ma è proprio dalla scarsità delle risorse che il problema si pone concretamente. L’efficienza permette di ampliare gli esiti della sanità e quindi in tal senso contribuisce a render possibile di soddisfare più bisogni e quindi, se lo si vuole, di soddisfarli in modo equo. Ma la questione fondamentale nasce dalla forma della funzione di utilità che se fosse una funzione lineare non porrebbe limiti alla ricerca dell’equità, ma invece quasi sempre assume una diversa forma che crea le difficoltà che esporremo.

Se la funzione di utilità fosse sempre in tutte le attività di tipo lineare, allora dare a due soggetti una quantità pari di risorse produrrebbe la stessa somma di utilità che darne ad un soggetto il doppio ed all’altro nulla; ciò significa che la distribuzione sarebbe indipendente dall’utilità globale e quindi dall’efficienza del sistema. Se così fosse la soluzione equa sarebbe quella di soddisfare una quota proporzionale dei bisogni di ciascuno pari alla quota globale consentita dalle risorse per l’intera comunità.

In realtà le funzioni di utilità reali sono diverse e molto lontane dalla linearità: si pensi banalmente solo alla funzione di utilità di un farmaco antibiotico, la cui utilità di basse dosi è presso che nulla per crescere rapidamente attorno alla dose ottimale per poi rimanere stabile se non addirittura diminuire a causa della tossicità di dosi eccessive. Ne consegue che non ottengo la stessa utilità sia se somministro metà dose terapeutica a due soggetti ricavandone bassissima utilità sia se la somministro ad uno solo ottenendo globalmente maggior utilità anche se un soggetto ne sarà privato.

Il problema si complica ulteriormente se l’efficienza che riguarda l’erogazione di servizi ai due soggetti in realtà è tra di loro differente: è chiaro che per massimizzare l’utilità globale sarebbe conveniente dare risorse solo a chi può avere maggior efficienza.

Parlando di singoli soggetti se le mie risorse fossero scarse e volessi massimizzare l’utilità globale dovrei curare solo quei malati le cui cure costano di meno oppure sono molto più efficaci di altre. La questione richiama ciò che successe nell’Oregon negli anni ottanta e fu occasione di un acceso dibattito: fu negata l’assistenza ad una paziente leucemica perché l’utilità delle terapie, molto dispendiose, era inferiore all’utilità che poteva essere ricavata da un uso alternativo delle stesse risorse. Per altro è di questi mesi l’intenzione dell’Oregon di andare in una direzione opposta proponendo di introdurre l’assistenza sanitaria tra i diritti costituzionali.

Il criterio della maggiore utilità viene in ogni caso spesso usato: è il caso degli screening riservati alle fasce di età più a rischio di patologie e che quindi ne possono ricavare maggiore utilità; oppure è il caso della terapia contro il virus dell’epatite riservato ai soli soggetti con la patologia conclamata e non a tutti gli infettati, oppure la concentrazione dell’ospedalizzazione in nosocomi efficienti diminuendo però l’accessibilità nelle zone più periferiche, ecc.

Se invece si considerano le intere comunità, allora si potrebbe voler massimizzare l’utilità dando più risorse a chi meglio le sa far fruttare ma in questo caso si otterrebbe una doppia disequità: la prima per la diversa quantità di risorse assegnate, la seconda perché le comunità che ne ricevessero di meno sarebbero proprio quelle che meno riescono a dare adeguata assistenza e sarebbero costretti a darne ancor di meno. Ed allora il problema diventa anche una disparità tra amministrazioni responsabili di mancanza di efficienza e cittadini incolpevoli che la subiscono.

Ciò non significa certo proporre di favorire chi agisce in modo inefficiente; occorre fare di tutto per aiutarlo, per quanto necessario, e quasi “costringerlo”, per quanto possibile, a trovare o ritrovare  le capacità per usare le risorse in modo ottimale producendo un livello realmente accettabile di utilità..

Il dilemma allora è se sia meglio dare a tutti quantità inferiori a quelle che ottimizzano l’efficienza o dare il necessario solo ai pochi che ne possono usufruire in modo ottimale; e questo dilemma diventerà sempre più drammatico in conseguenza della riduzione delle risorse disponibili e la crescita dei costi delle nuove tecnologie. Come venirne fuori?

La soluzione può essere solo politica e non tecnica come forse più facilmente da parte di qualcuno si vorrebbe. La scelta è come bilanciare la perdita di utilità globale per garantire l’equità e la perdita di equità per garantire la maggior utilità globale. E questo non solo riferendosi al Servizio Sanitario Nazionale bensì alla sanità nel suo complesso perché infatti la crescita del cosiddetto “secondo pilastro”, quello della sanità privata assicurativa, si giustifica per la ricerca di maggior utilità per chi può permettersi di ottenere maggior protezione.

E il rischio è di tornare ad una sanità buona per i pochi e per lo meno meno buona, se non addirittura cattiva, per i tanti, e questo avverrà se i tanti accetteranno di ridare la gestione del potere ai pochi.

Questa è la ragione per cui non ci può essere una sanità che non dipenda da scelte politiche mentre sicuramente c’è da auspicarsi che la sanità sappia liberarsi da condizionamenti di sotto governo o da interessi che non possono definirsi correttamente come politici bensì come interessi da male affare. E si torni per favore ad usare il termine “Politica” solo riferendosi al governo del bene pubblico e non alla rete di litigi e di ricerche di interessi privati.

E la Politica non può far altro che trovare un compromesso, quello che massimizza il consenso della collettività all’equilibrio sostenibile tra livello di utilità globale e livello di equità. Compromesso che se non verrà trovato e mantenuto comporterà certamente delle insoddisfazioni che possono evolvere verso il crollo dell’attuale sistema sanitario e forse anche dell’insieme sistema paese.

Una richiesta pressante allora alla Politica, anche se oggi ha tante altre grane da risolvere: espliciti urgentemente cosa intende fare per garantire l’assistenza sanitaria e per far capire qual è l’equilibrio che intende stabilire tra efficienza ed equità.

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