Riassunto

Il Comitato Mamme NO Inceneritore si batte per impedire la costruzione di un impianto di incenerimento in nella Piana fiorentina, area che da Firenze si estende fino a Prato, dichiarata dalla ASL 10 «fortemente critica dal punto di vista ambientale e sanitario». Nel corso dei suoi due anni di vita, e grazie a una miriade di iniziative volte tanto a opporsi all’inceneritore quanto a proporre soluzioni alternative per la gestione dei rifiuti, il Comitato riesce a coinvolgere un gran numero di cittadini e a far uscire dal silenzio la vicenda, rendendola una questione pubblica.
Ma va oltre. Considerato che dal 2010 la Piana è sprovvista di rilevamenti (le 4 centraline presentisono state dismesse nel 2010), lancia un progetto di monitoraggio della qualità dell’aria. Che ha una peculiarità: prevede l’autocostruzione delle 20-30 centraline da disporre in rete nell’area. Basato sulla partecipazione dei cittadini, finanziato mediante crowdfunding, forte della collaborazione di un rete di tecnici ed esperti per garantirne la solidità scientifica, a basso costo, fondato sull’approccio open science, il progetto è pensato per essere riproducibile da chiunque.

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Di mamma ce n’è una sola, si sa. E già così è una forza. Ma quando sono tante a unirsi per un obiettivo comune, chi le ferma più? È il caso delle Mamme NO Inceneritore di Firenze e relativa area metropolitana, che si battono per impedire la costruzione di un impianto di incenerimento in un luogo non molto distante da dove sorgeva quello di San Donnino, chiuso nel 1986 dopo 13 anni di ininterrotta attività. E che di questa battaglia hanno via via ampliato gli orizzonti, fino a mettere in campo un ambizioso piano di automonitoraggio della qualità dell’aria.

L’esperienza vissuta oltre 30 anni addietro con l’inceneritore di San Donnino e con le tracce indelebili che la sua attività ha lasciato (tra cui un inquinamento da diossine definito “eccessivo” dall’Istituto superiore di sanità e un sovrappiù di casi di linfomi non Hodgkin) è radicata nella memoria storica delle comunità della cosiddetta Piana fiorentina. Tant’è vero che quando, nel 2000, si scopre che il Piano di gestione dei rifiuti urbani della Provincia di Firenze include la realizzazione di un inceneritore a Sesto Fiorentino, comitati e associazioni storiche del territorio riprendono la battaglia per opporsi al nuovo progetto.

All’inizio del 2015, quando l’iter per l’autorizzazione alla costruzione dell’inceneritore sta per concludersi, un gruppo di giovani mamme alza le antenne. Cominciano a discuterne in due o tre, ma il passaparola è veloce e ben presto il gruppo si amplia fino a costituire il comitato Mamme NO Inceneritore, oggi il principale movimento di opposizione alla costruzione dell’impianto.

Da subito l’impostazione è rigorosa: appoggiandosi a tecnici ed esperti si cominciano a studiare i documenti ufficiali, ci si informa sui possibili metodi alternativi per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti e, tramite le più svariate iniziative, si coinvolge un numero sempre maggiore di cittadini.

Un lavoro capillare, fatto di volantinaggi, incontri con la popolazione nei quartieri, concerti, manifestazioni di piazza (quella del maggio 2016 a Firenze ha visto la partecipazione di 20.000 persone), eventi pubblici con esperti del settore, medici, gestori e tecnici del ciclo dei rifiuti, un sito internet (www.mammenoinceneritore.org), una pagina facebook (mammenoinceneritorefirenze). Un lavoro di informazione, sensibilizzazione e dialogo volto tanto a scongiurare la costruzione dell’impianto quanto a proporre alternative sostenibili. E sempre cercando il confronto con gli amministratori dei Comuni interessati.

Parallelamente, il Comitato partecipa a una serie di azioni legali, supportando comitati e associazioni ambientaliste locali e nazionali che avevano intrapreso ben due ricorsi al TAR della Toscana, poi unificati, e che culminano nella sentenza dell’8 novembre 2016 con cui l’Autorizzazione unica per la costruzione dell’inceneritore viene annullata (i ricorsi legali amministrativi delle parti sono attualmente all’esame di merito del Consiglio di stato). Il Comitato ha nel frattempo presentato, sempre insieme a comitati e associazioni ambientaliste, un esposto alla Procura della Corte dei conti della Toscana per presunto danno erariale per mancato raggiungimento degli obiettivi minimi di raccolta differenziata.

Le Mamme NO Inceneritore (il nome resta, anche se ormai non più di sole mamme si tratta) riescono in questo modo a far uscire dal silenzio la vicenda, rendendola appetibile ai media e trasformandola così in una questione pubblica.

Ma non si accontentano. E mentre gli interventi sul territorio – oggi articolati intorno a uno zoccolo duro di circa 100 attivisti sostenuti da un numero sempre maggiore di cittadini dei Comuni limitrofi a Firenze e Sesto Fiorentino – procedono, si apre un altro fronte, quello della messa in campo di una «scienza cittadina per la creazione di un osservatorio della qualità dell’aria».

Il progetto “che aria tira?”

Nel 2010 ARPA Toscana dismette le quattro centraline di rilevamento della Piana fiorentina, che da Firenze si estende fino a Prato. Un territorio definito dalla stessa Regione Toscana «zona di risanamento» e dalla ASL 10 «area fortemente critica dal punto di vista ambientale e sanitario», dove le caratteristiche orografiche e meteorologiche sfavoriscono la dispersione degli inquinanti atmosferici contribuendo a mantenere alta la concentrazione di diversi inquinanti (in particolare PM10, NO2, O3).

«Quanto inciderebbe sull’inquinamento già presente – per cui peraltro non disponiamo di dati puntuali, visto che non abbiamo più le centraline – un nuovo impianto di incenerimento?» si chiede Fiammetta Battaglia, una delle Mamme NO Inceneritore. «Anche se i nuovi inceneritori sono meno inquinanti di quello di San Donnino, non sono certo a emissioni zero. E, come ha affermato Loredana Musumeci, dirigente ISS, alla stampa fiorentina: “Se la pressione degli inquinanti in un’area è troppo alta, allora anche un termovalorizzatore che inquina poco può diventare insostenibile”».

Per questo le Mamme, senza perdere tempo con sterili lamentazioni sul web e senza aspettare di convincere le istituzioni a reinstallare le centraline, hanno deciso di farsi carico del problema in prima persona avviando un «progetto di monitoraggio partecipato e diffuso della qualità dell’aria e della salute di chi abita, lavora e vive nella Piana fiorentina, creando una vasta rete di centraline di rilevamento con la partecipazione dei cittadini», come spiegano nel loro comunicato stampa.

Ma per mettere in campo “Che aria tira?” (questo il nome dato al progetto) occorre denaro. Nessun problema: a metà maggio 2016 le Mamme avviano una raccolta di fondi attraverso la piattaforma di crowdfunding Produzioni dal basso, una della più grandi comunità italiane di autoproduzione on-line. Obiettivo da raggiungere: 15.000 euro. Fondi raccolti alla chiusura della campagna, nel settembre 2016: 16.5000 euro. Un successo ottenuto a tempo di record.

Una somma sufficiente per affrontare tutte le spese legate al progetto che, questa è la sua peculiarità, si fonda su una scelta radicale: l’autocostruzione. E non di una sola centralina, bensì di 20-30 dispositivi (il numero esatto sarà definito in itinere) da disseminare nell’area. Con in testa ben chiare le caratteristiche che deve avere il progetto: realizzato attraverso la partecipazione di un’intera comunità, scientificamente solido, aperto, riproducibile da chiunque (quindi a basso costo) e i cui risultati siano fruibili da tutti.

Una rete diffusa

«Il nostro obiettivo è attivare una rete di centraline, almeno 20, da posizionare in un’area attorno alla zona in cui sarebbe prevista la costruzione dell’inceneritore» spiega Niccolò Villiger, attivista del Comitato che sta seguendo gli aspetti tecnici del progetto. «Abbiamo già ricevuto l’adesione di diversi cittadini e alcuni consigli comunali (tra cui Sesto Fiorentino, Campi Bisenzio, Calenzano) hanno deliberato per chiedere l’installazione di centraline sul proprio territorio».

Volete sostituirvi ad ARPA Toscana? «Assolutamente no. Il nostro scopo è dimostrare quello che si può fare in questa zona e in tal modo stimolare le istituzioni pubbliche. Non ci contrapponiamo ad ARPAT, di cui peraltro conosciamo le difficoltà economiche. Al contrario, abbiamo sempre cercato un rapporto con l’Agenzia, da cui abbiamo ricevuto anche diversi segnali positivi».

Come è possibile che cittadini che operano a titolo volontario affrontino un’impresa di questo genere? La risposta è semplice: tanta determinazione e capacità di “fare rete”.

Determinazione, nel passare le serate a studiare il problema e vagliare le possibili soluzioni: un bel po’ di tempo è stato impiegato nella scelta dei sensori, il cuore della centralina, che devono essere a basso costo ma anche affidabili («nel corso dei primi test abbiamo scartato alcuni sensori economici che però non ci garantivano una sufficiente affidabilità»), ma è stato solo il primo passo. Poi si è trattato di scegliere come costruire la scatola che deve contenere i sensori e tutte le connessioni alla piattaforma informatica che raccoglierà in continuo i dati rilevati; quindi è venuto il momento di capire come mettere in rete in continuo i dati istantanei prodotti dalle centraline e come realizzare la piattaforma.

E qui entra in gioco la rete di collaborazioni con tecnici, scienziati, associazioni, imprese attive nel campo.

Per quanto riguarda il supporto scientifico, in merito soprattutto alla localizzazione delle centraline e alla validazione e interpretazione dei dati, il Comitato può contare sull’Impresa sociale (IS) Epidemiologia&Prevenzione (si veda nota n. 8, p. 87). «Le centraline, che rileveranno la concentrazione di PM2.5 e PM10, saranno posizionate permanentemente in alcuni siti aventi idonei requisiti tecnici, scelti a seguito di un processo partecipativo popolare. Le loro caratteristiche tecniche saranno tali da garantire prestazioni analoghe a quelle degli apparecchi utilizzati nelle stazioni di rilevamento ARPAT» assicura Daniele Grechi, chimico ambientale, dell’IS Epidemiologia&Prevenzione.

Il quale chiarisce, inoltre, che gli scopi del rilevamento sono essenzialmente due:

  • controllare lo stato attuale della qualità dell’aria e valutare l’esposizione della popolazione;
  • acquisire una robusta ed esauriente base dati per verificare l’evoluzione nel tempo della situazione, anche in conseguenza dell’eventuale realizzazione dei progetti in itinere (oltre all’inceneritore, incombe sulla Piana anche l’ampliamento dell’aeroporto di Peretola).

Dal punto di vista tecnico, il Comitato ha scelto di appoggiarsi al FabLab di Firenze, un’associazione no profit nata nel 2012, e a Ninux, un progetto costituito da un gruppo di persone che operano per la realizzazione di una rete informatica aperta, decentralizzata e autogestita, di proprietà dei partecipanti. I FabLab sono una rete di laboratori/officine nati da un’idea di Neil Gershenfeld del MIT e diffusi in tutto il mondo che offrono la possibilità di utilizzare strumenti per la digital fabrication e uno spazio di confronto e condivisione di idee, progetti, competenze. Al FabLab di Firenze si sta approntando la realizzazione, grazie a stampanti 3D, delle “scatole” che racchiuderanno le centraline. «Un problema che sembrerebbe banale, ma non lo è affatto: per esempio, ci siamo accorti che il disegno originario richiedeva tempi eccessivi per la stampa, perciò lo stiamo modificando» spiega Villiger. Ninux cura, invece, la parte tecnica hardware dei sensori.

Altri partner importanti per quanto concerne la progettazione e la gestione della piattaforma web sono, oltre a Ninux, Lorenzo Bigagli (ingegnere informatico, ricercatore CNR e attivista di pianasana.it) e Marco Taiuti (appassionato di tecnologia modellata per il sociale).

Il modello è sempre l’approccio open science, dove un processo di partecipazione e condivisione consente la massima accessibilità di dati e conoscenze. Perciò, i dati acquisiti dal rilevamento saranno condivisi on-line applicando le tecnologie Sensor Web, Big Data, Open Data. Dal canto suo, Ninux Firenze accoglierà nella propria rete le centraline, consentendo così non solo di comunicare i dati in piena sicurezza mettendoli a disposizione di chiunque voglia elaborarli o anche solo consultarli, ma anche di garantire il collegamento in quelle zone dove la copertura Internet è insufficiente.

Infine, l’ultimo passo: la condivisione dei dati. «Di sicuro sulla piattaforma pubblicheremo in continuo i dati grezzi, come arriveranno dalle centraline. Ma non è sufficiente: perché questa esperienza possa essere completamente fruibile da tutti, occorre anche fornire un’elaborazione dei dati in grado di interpretarli. Insomma, occorre compiere anche un’opera di divulgazione. Per questo si sta mettendo a punto un software per l’interfaccia piattaforma/pubblico che sia il più adeguato a questi scopi».

Come procede il progetto?

«La piattaforma è pronta, stiamo completando la stampa delle scatole e a breve sperimenteremo l’installazione di tre sensori in un luogo abbastanza inquinato, nei pressi dell’aeroporto di Peretola. Ci servirà come test. Seguirà il posizionamento in un nucleo esemplificativo, sei punti tra Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino e Firenze Nord» risponde Niccolò Villiger. «Speravamo di poter validare le prime centraline lo scorso inverno, ma una serie di imprevisti tecnici ha ritardato i lavori. Senza contare che siamo tutti volontari. Ma arriveremo alla meta. E quando il progetto sarà concluso, ognuno potrà “appropriarsene”, perché la metodologia sarà in rete, aperta e disponibile per chiunque voglia cimentarsi in un’esperienza di questo genere».

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