I dati comunicati dalla Protezione Civile

La descrizione dell’andamento dell’epidemia da Covid-19 si è sinora basata quasi esclusivamente sui dati che la Protezione Civile (PC) ha diffuso ogni sera alle 18 e che i media, giornali e telegiornali, hanno ripreso e spesso commentato in modo tutt’altro che corretto. Si deve innanzitutto considerare che questi dati, trasmessi al Ministero della Salute dalle Regioni che li ricevono dai loro servizi ospedalieri e territoriali, sono stati raccolti con l’obiettivo primario di valutare il bisogno assistenziale in termini di posti letto, soprattutto Terapia Intensiva. Infatti la comunicazione principale è il dato di prevalenza puntuale: quanti cioè sono in giornata i pazienti contagiati certificati come tali e quanti ricoverati. Purtroppo la lettura maldestra di questi dati ha portato spesso a ritenere che a variazioni di prevalenza corrispondessero variazioni simili dell’incidenza. Se paradossalmente fosse aumentata la letalità più della contagiosità si sarebbe potuto dire che l’epidemia stava diminuendo in quanto il numero giornaliero dei contagiati sarebbe contestualmente diminuito. I dati della PC non nascono quindi con una impostazione di tipo epidemiologico, bensì sono indicazioni necessarie per la gestione dei servizi assistenziali. Si osservi infatti che i “casi” non sono né i soggetti contagiati, né i soggetti malati, bensì i soggetti “positivi” al test con tampone. La funzione di lettura epidemiologica è stata affidata all’Istituto Superiore di Sanità (ISS) cui vengono inviati record individuali tratti dalle informazioni cliniche, ma purtroppo i dati mancanti sono molti e di fatto l’infografica dell’ISS, presentata due volte alla settimana, è stata poco utilizzata dai media anche perchè la difformità non spiegata dei “numeri” rispetto a quelli della PC ha creato diversa confusione.

La PC dà fondamentalmente quattro informazioni ad un livello abbastanza elevato di certezza: data del test positivo, data del ricovero, data del decesso, data del secondo test negativo sui paziente già positivo. Queste date dovrebbero essere abbastanza precise in quanto l’evento non da difficoltà di rilevazione. Peraltro esaminandi le serie dei dati, soprattutto quelli dei tamponi positivi, ci si accorge che vi è una ciclicità settimanale negli andamenti che dipende certamente non dalle condizioni dei soggetti ma dalle modalità di rilevazione: meno positivi il lunedì e martedì.
Ci si deve allora chiedere se il dato dei nuovi casi positivi di ogni giorno, non diminuiti dal dato dei deceduti e dei guariti, possa essere utilizzato pere stimare la misura dell’incidenza o, con meno pretese, almeno l’andamento dell’incidenza. Ila distorsione maggiore nel dare dati che per lo meno siano una percentuale costante del numero dei nuovi contagiati, deriva dalla probabile non costante definizione di caso. Si consideri innanzitutto che può essere considerato caso, anche coerentemente alle indicazioni dell’OMS, solo un soggetto che abbia avuto un. tampone con esito positivo, e questo è stato sicuramente rispettato per tutto il periodo dell’epidemia sino ad oggi. Ma le possibili variazioni possono essere state determinate dalle indicazioni pere la somministrazione dei tamponi: all’inizio dell’epidemia le linee guida imponevano di usare il tampone solo per una conferma diagnostica e quindi veniva somministrato solo a pazienti che mostravano sintomi importanti compatibili con patologie da Covid-19. Col, passare dei giorni la somministrazione dei tamponi si è allargata anche a soggetti con sintomatologie minori o addirittura a soggetti totalmente asintomatici ma con un possibile sospetto da contatto con soggetto contagiato. E dato che “più si cerca, più si trova” i dati dei nuovi positivi potrebbero non esser solo funzione dell’incidenza della patologia ma anche delle modalità diagnostiche.

Le analisi seguenti vogliono riflettere su quanto possa essere utilizzato il dato della PC per stimare l’andamento dell’incidenza.

L’andamento del numero di positivi e del numero di decessi

I grafici seguenti riproducono i casi positivi ed i decessi comunicati dalla PC e qui rappresentati sia in forma cumulativa dall’inizio della epidemia sia in forma di frequenze giornaliere.

La frequenze sono presentate con una scala logaritmica che consente di vederle meglio contemporaneamente seppur i casi positivi siano molti di più, ovviamente, dei decessi. Si intravvede nei dati giornalieri la ciclicità settimanale qui di seguito meglio evidenziata ed è il motivo per cui sembra più adeguato calcolare le medie mobili centrate a sette giorni, cioè ad ogni giorno si assegna la media dei propri valori più i tre precedenti ed i tre seguenti.
Si vede già da questi grafici che l’andamento dei casi e dei decessi è crescente e nelle frequenze giornaliere in leggera decrescenza dall’ultima settimana di marzo. Ma ciò che interessa sottolineare è che gli andamenti sembrano del tutto similmente paralleli.

Si è allora analizzata l’autocorrelazione temporale tra i dati dei nuovi cassi e i dati dei decessi e il valore è massimo se si considerano i casi precedenti di cinque giorni ai decessi. Si faccia attenzione al fatto che la data con cui viene segnalato dalla PC un caso è di circa due giorni successivi all’effettuazione del tampone e questo mediamente viene prelevato sette giorni prima del decesso, quindi tra comunicazione del caso positivo e comunicazione del decesso alla PC transitano approssimativamente in media proprio 5 giorni.
Per altro la proporzione tra le due serie sfalsate di cinque giorni è costantemente del 14% dei decessi sul numero dei casi positivi che corrisponde al valore della letalità globale segnalato dal’ISS.
Il grafico qui a lato rappresentato rappresenta il numero osservato dei decessi di ogni giorno ed il numero di decessi “previsti” considerando appunto una proporzione del 14% dei nuovi casi notificati cinque giorni prima. Con questo calcolo non si vuole dimostrare né che il tempo medio tra la certificazione di un tampone positivo e il decesso passano in media 5 giorni, né che la letalità dei casi certificati come positivi corrisponda al 14%.
Si vuole solamente far notare la costanza del rapporto tra le due serie che da una parte potrebbe persino essere utilizzato per una previsione grossolana dei decessi a cinque giorni prima ma soprattutto per ragionare sulla possibilità di stimare con questi dati l’andamento effettivo dell’incidenza. L’interrogativo che ci si pone è se l’andamento dell’incidenza reale possa esser diminuito maggiormente di più di quanto sembra diminuire l’andamento del numero dei positivi certificati.
Può darsi, ed anzi è certo, che ci siano stati più decessi di quelli certificasti dalla PC, ma quasi sicuramente i decessi dei casi con tampone positivo corrispondono a quelli indicasti dato che è difficile ipotizzare delle perdite se non casuali e marginali.
Il rapporto costante del 14% suggerisce pure che probabilmente la letalità vera dei soggetti positivi selezionati per essere sottoposti ad un test con tampone non sia molto cambiata durante queste settimane di epidemia e se fosse cambiata sarebbe ipotizzabile solo un miglioramento e non un peggioramento, almeno per quanto i clinici stanno suggerendo a proposito della miglior efficacia delle terapie, anche se di questo non ve ne sono le prove, e comunque se così fosse la diminuzione dell’incidenza risulterebbe ancor più sottostimata. Alla stessa stregua se i dati dei positivi risultassero meno in calo per un maggior numero di casi asintomatici aggiuntisi in seguito all’aumento dell’attività diagnostica, sarebbe difficile spiegare perché la percentuale dei decessi non diminuisca dato che la letalità degli asintomatici sicuramente è minore di quella dei sintomatici gravi.

Che dicono allora i dati della Protezione Civile in tema di incidenza?

Sicuramente il numero di contagiati viene sottostimato dai dati della PC in quanto è ormai ben accertato che molti dei soggetti asintomatici o paucisintomatici non vengono conteggiati in quanto non rientrano nella casistica dei soggetti con tamponi positivi. Quasi certamente possiamo anche ipotizzare che non rientrino nella casistica molti dei decessi relativi a soggetti contagiati ma non diagnosticati, soprattutto perché morti a domicilio o in comunità prima che venisse loro effettuato un tampone.

Cercando di fare stime molto grossolane, senza ovviamente poterle validare, ma solo per ipotizzare un possibile scenario epidemico, potremmo ritenere, anche sulla base dell’analisi di alcuni dati Istat, che i decessi per Covid-19 siano in realtà circa il doppio di quelli certificati. Se fosse realmente così, e se la letalità fosse approssimativamente del 2% come risulta da altre casistiche seppur in Italia potrebbe esser superiore a causa dell’età della popolazione, allora i positivi sarebbero oggi 100 volte di più dei deceduti il che significherebbe che coloro che sono morti a causa dell’epidemia sarebbero oggi circa cinquantamila, con una frequenza di quali mille al giorno, e i soggetti che sono stati contagiati, contagio oggi risolto o ancora in corso, sarebbero circa due milioni e mezzo ed ogni giorno ci sarebbero cinquantamila nuovi contagiati. Se la letalità fosse il doppio, cioè del 4%, i nuovi contagiati in nu giorno sarebbero la metà, circa venticinquemila. Non si può esser certi che queste stime approssimative si avvicinino o meno alla realtà, e sicuramente servirebbero dei calcoli più precisi considerando la distribuzione dell’età dei contagiati, ma se non se ne allontanassero del tutto sarebbe molto preoccupante dover affrontare un numero così imponente di contagi se questi ancora durassero nella stessa misura al momento della fine del lockdown.

Con un numero così elevato di nuovi contagi al giorno cui si aggiungono i loro possibili contatti, non è pensabile di poter realizzare un serio conctact tracing capace di isolare i contagiosi, soprattutto gli asintomatici, e di impedire che loro producano dei nuovi focolai. Prima di avviare realmente la cosiddetta fase due sarà allora essenziale esser sicuri che queste stime siano solo una brutta fantasia e la realtà sia per fortuna migliore.

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