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Filippo La Torre
Per un pugno di amianto. L’avventura di un minatore siciliano a Cassiar
Guidonia, Iacobellieditore, 2016
pp. 251; 15,00 euro

Per un pugno di dollari un ventenne palermitano si reca nella più occidentale delle province canadesi, la British Columbia, a ridosso dell’Alaska, dove trova lavoro in una cava di amianto crisotilo. Salvatore (Sal, per gli amici) lavora a 2.000 metri d’altitudine, in un clima estremo (con inverni a -40°C) dalla bellezza stupefacente, in due diversi periodi: dal 1962 al 1968 e dal 1978 al 1980. Anni in cui raccoglie e organizza in maniera quasi ossessiva i ricordi e le immagini della sua vita di minatore che arrivano così nelle mani del figlio Filippo. Rugbista, blogger e scrittore, Filippo li verifica e li arricchisce con molte informazioni reperibili in rete, grazie soprattutto a uno specifico sito Internet costruito da altri minatori della cava e da abitanti del villaggio minerario di Cassiar. Il risultato è una fiction molto documentata, da cui non emergono in prima battuta rancore o rivendicazione, ma – anzi – soddisfazione, apprezzamento estetico e, alle volte, nostalgia della terra di origine.

Le memorie di Sal non riguardano direttamente o principalmente gli effetti nefasti dell’amianto sulla salute dei minatori e dei loro familiari, ma fanno apparire quella fi bra minerale, costantemente presente nei luoghi di lavoro e di vita, addirittura oggetto di ammirazione da parte di chi la estrae e la lavora. «Presi il mio panino con uova strapazzate e cipolla e, mentre lo addentavo, guardavo con estremo piacere quella patina bianca che vi si depositava sopra: meglio di una spolverata di parmigiano!»

La cava è stata attiva dal 1952 al 1992, quando la società che la gestiva andò in bancarotta per la richiesta di risarcimenti e la riduzione della domanda del minerale; viene riattivata grazie a una nuova società concessionaria dal 2000 al 2002. Si stima che nei 42 anni di attività siano stati estratti circa 60 milioni di tonnellate di minerale, che siano passati circa 50.000 lavoratori e che a Cassiar abbiano vissuto contemporaneamente sino a 2.500 persone. Le parole di Sal testimoniano la differenza tra i due periodi passati al lavoro nella cava. «Fino al 1968 non si prendeva nessuna precauzione per impedire l’inalazione della fi - bra e della polvere di asbesto […] Gli addetti al mulino lavoravano a contatto diretto con la polvere di amianto, non indossavano nessuna maschera di protezione e che gli ambienti erano sprovvisti d’impianti di ventilazione ed estrazione […] Facevamo fatica a capire che lavoravamo in un ambiente a rischio, ché il cancro da asbesto ha un periodo di incubazione troppo lungo per considerarlo un pericolo reale: ci cullavamo nella beata illusione di avere una protezione naturale; ci illudevamo che le farfalle bianche non avrebbero depositato le loro uova dentro di noi che, in fondo, ce ne prendevamo cura». Ma in quel primo periodo una regola, rigida, valeva: non ammettere in uno stesso turno le coppie di fratelli «per evitare che, in casi luttuosi, una stessa famiglia dovesse piangere contemporaneamente la perdita di più cari».

Quando torna a Cassiar, a fi ne anni Settanta, Sal trova una situazione diversa («Tutti, a fi ne turno e prima di tornare a casa, dovevano transitare obbligatoriamente dal mine-dry [spogliatoio attrezzato] per togliersi le tute da lavoro e indossare abiti puliti. In molti reparti adesso era obbligatorio indossare maschere per fi ltrare anche i più piccoli corpuscoli di asbesto e nel mulino erano sempre in funzione gli estrattori che ripulivano l’aria dalla polvere bianca») e un opuscolo promozionale della compagnia mineraria che informa “anche” sulla pericolosità dell’amianto, sostenendo nella sostanza che l’amianto, come tante altre cose, può essere pericoloso, ma che nei suoi confronti possono essere adottate misure idonee a contrastarne gli effetti. Per fortuna, dopo anni di battaglie, oggi anche il Canada ha messo al bando l’amianto: dal 2018 non potrà essere prodotto, commerciato, importato ed esportato.

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