Tra il 1994 e il 1995 in Lombardia diverse proposte impiantistiche relative alla gestione dei rifiuti urbani e industriali sono arrivate al pettine. Queste proposte erano il risultato della convergenza di obblighi normativi di tipo programmatorio (piani provinciali di smaltimento dei rifiuti, piano regionale di «emergenza» per i rifiuti industriali) e di libera iniziativa (nuovi impianti proposti da privati, trasformazione di impianti di combustione già esistenti in inceneritori per rifiuti), accomunati dal passaggio dalla discarica intesa come «soluzione finale» della questione rifiuti all’incenerimento presentato come innovazione e modernizzazione tecnologica. I progetti erano, e sono, presentati come indispensabili a fronte delle diverse «emergenze rifiuti», dell’esaurimento delle discariche esistenti e dell’opposizione sociale per realizzarne di nuove; si sottolineava che, grazie alle modifiche impiantistiche apportate agli inceneritori e a limiti più restrittivi per le emissioni all’atmosfera, era oramai superata la «sindrome da diossina» emersa a seguito del crimine di Seveso e alla scoperta che anche gli inceneritori emettevano questo cancerogeno in abbondanza. In altri termini si affermava, e si afferma, che l’esposizione a ingenti quantità di sostanze cancerogene, mutagene e teratogene, quali quelle prodotte dalla combustione dei diversi materiali di cui sono costituiti rifiuti, non comporta rischi per la popolazione, che questa esposizione è «accettabile » e comunque necessaria quale portato del benessere economico e del livello dei consumi individuali... Accedi per continuare la lettura

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