Introduzione

Tra i tanti ingredienti di programmazione che riempiono le agende di chi discute del futuro del servizio sanitario la deospedalizzazione non manca mai dal menù. E si tratta di una scelta comprensibile da tanti punti di vista:

in termini di economicità, seguendo il dettato (per esempio) del Dlgs 502/1992 laddove si invita a fare un uso efficiente delle risorse nella modalità di organizzazione ed erogazione della assistenza (art. 1); in termini di appropriatezza organizzativa, seguendo le indicazioni contenute, per esempio nel Dlgs 29 novembre 2001 sui livelli essenziali di assistenza, e in particolare nell’allegato 2C; in termini di sviluppo tecnologico, seguendo il percorso che vede, a parità di efficacia per il paziente e di sicurezza per l’operatore, la possibilità di erogare attività sanitarie che prima erano a esclusivo appannaggio del contesto ospedaliero in setting assistenziali diversi; e così via.

Tutti gli esperti concordano che la sanità del futuro (ma anche quella del presente, a dire il vero) dovrà essere meno ospedalocentrica e dovrà valorizzare al meglio altri contesti assistenziali: le differenze, a questo livello, non risiedono nell’obiettivo finale ma semmai nelle strade da intraprendere per raggiungere questo obiettivo. L’argomento, in proposito, non è facile, e la inizialità del percorso anche nel nostro Paese indica la presenza di una pluralità di concetti, di approcci e di metodologie.

La deospedalizzazione

Ma cosa si intende per deospedalizzazione? Talvolta con questo concetto si intende semplicemente fare riferimento alla diminuzione del numero di ricoveri ordinari (o, in qualche caso, di ricoveri totali), in quanto la semplice diminuzione dei ricoveri ordinari è ritenuta di per sé un processo positivo (auspicabile) per il servizio sanitario; altre volte ci si riferisce al passaggio dai ricoveri ordinari ai ricoveri in day hospital, secondo l’assunto per cui, quando tecnicamente possibile a parità di altre condizioni (efficacia, sicurezza, eccetera), un ricovero in day hospital è preferibile per il servizio sanitario rispetto a un ricovero in regime ordinario e la deospedalizzazione sarebbe rappresentata ancora dalla diminuzione dei ricoveri ordinari; altre volte, invece, si pensa allo spostamento di attività dal ricovero (sia esso ordinario o giornaliero) al contesto ambulatoriale: in questo caso sarebbe la diminuzione complessiva dei ricoveri a rappresentare il fenomeno della deospedalizzazione; a volte, infine (ma è un infine soltanto pletorico, determinato dalla necessità di chiudere una lista che in realtà potrebbe continuare a lungo), dietro all’idea di deospedalizzazione c’è lo spostamento di attività dal ricovero (sempre sia esso ordinario sia giornaliero) a un’altra qualsiasi delle moltissime modalità (diverse da ricovero e ambulatorio) con cui ci si può prendere cura di un determinato evento sanitario o paziente (e qui l’elenco o la specificazione del contesto erogativo potrebbe essere veramente lungo: residenzialità sanitaria, assistenza domiciliare, cure intermedie, spedalità di comunità, spedalità del weekend,…): anche in questo caso la deospedalizzazione consisterebbe nella diminuzione complessiva dei ricoveri.

Non è però scopo di questo lavoro una discussione di merito su ciò che sta avvenendo (o potrebbe avvenire), sulle scelte di programmazione presenti a livello internazionale, nazionale, regionale, o semplicemente locale, sulle condizioni che possono portare al successo (o insuccesso) di queste attività, e non è nemmeno da trascurare l’idea che dietro al concetto di deospedalizzazione a volte si nascondano semplici cambiamenti formali privi di guadagni sostanziali per il servizio sanitario (che differenza reale c’è tra una cataratta effettuata in un ricovero ordinario di un giorno, in un ricovero di day-hospital, o in una prestazione eseguita in un ambulatorio ospedaliero?): chi volesse, per esempio, capire cosa sta succedendo (anche in termini numerici) nel nostro paese in particolare sul tema della deospedalizzazione letta attraverso il punto di vista della appropriatezza organizzativa può trovare un interessante contributo nel lavoro di Morandi e Tavini pubblicato sulla rivista Monitor.1

Questo contributo si pone invece un altro obiettivo, più in linea con gli scopi generali della rubrica in cui è inserito: ammettendo che la deospedalizzazione stia avvenendo (o avverrà), e che costituisca un fenomeno di rilievo per il SSN, come è possibile misurarla? Quali sono gli indicatori che sono stati suggeriti (o sono comunemente in uso) per misurarla? E questi indicatori nascondono delle insidie tali per cui si possa dire “occhio ai granchi”?

Misurare la deospedalizzazione

Quando la misura della deospedalizzazione è semplicemente la diminuzione complessiva dei ricoveri (o di un certo tipo di ricoveri: per esempio, i ricoveri per i 43 DRG contenuti nell’all... Accedi per continuare la lettura

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