Ci salveremo da soli o solo assieme? Ragionavo di questo problema e pensavo di scrivere qualcosa sul blog in argomento, quando, di domenica mattina, il 17 marzo, ho letto in Internet, pubblicata dal Corriere.it, un’intervista a Franco Berrino e ho pensato necessario allargare la riflessione sull'approccio individuale o collettivo alla salute. Credo che se ne debba discutere e spero di non essere l’unico a parlarne. Spero anche di non intaccare l’amicizia che da innumerevoli anni ho con Franco, ma tra amici si può, credo, anche pensarla in modo diverso!

Io la penso così...

Caro Franco su certe tue affermazioni che leggo sul Corriere.it io proprio non mi ritrovo. Tra le tue dichiarazioni riportate dall’intervista ci sono anche queste:

“… la nostra società, quella occidentale e ricca, ha bisogno delle insicurezze e del malcontento delle persone per sostenere il proprio sistema economico …” e ancora, “Le malattie danno un gran contributo alla crescita del Pil …”

Queste affermazioni sono del tutto antitetiche con tutte le analisi economiche che evidenziano che la salute, il benessere e quella che, forse molto impropriamente, viene chiamata felicità, sono condizioni indispensabili per la crescita economica della società. Citi Mario Monti che parla della Sanità come settore che contribuisce ad accrescere il Pil, ed è vero. Ma tu leggi questa affermazione ritenendo che se ci fossero più vere malattie, o addirittura se ne creassero di nuove, allora la ricchezza crescerebbe!

Il PIL è prodotto dal lavoro ed il lavoro necessita di salute! È vero che le istituzioni sanitarie producono reddito, ma più prodotto ci sarebbe se non ci fossero le malattie! È vero che inducendo nuovi bisogni si fanno aumentare i consumi e quindi il PIL, ma ciò è vero solo se i bisogni, come quelli sanitari, non fanno diminuire le capacità di produrre ricchezza. È però vero che il “mercato sanitario” tende ad indurre falsi bisogni che creano consumi e non servono a correggere reali patologie. Ma per fortuna la sanità pubblica non vive di questo.

Non è però su questo che vorrei anzitutto portare la discussione, bensì su quella che tu indichi come il “percorso per rinascere in 21 giorni” che tu dici, anche se spero solo scherzosamente, di aver iniziato ad intraprendere perché “a 40 anni anche io avevo un girovita un po’ pronunciato. La mia signora mi ha fatto capire che non le stava bene e allora ho deciso di cambiare”!  Mi fa piacere che la scintilla sia stata di natura estetico-relazionale, ma nell’intervista sembra che tu affermi che queste sono le uniche misure che possono far star bene.

Tu proponi “Ventuno giorni per rinascere” badando a  “1- mangiar meno, 2- osservare orari precisi, 3- digiunare, 4- rispettare le stagionalità, 5- mangiare cibi vegetali, 6- abbassare l’indice glicemico, 7- evitare eccessi di proteine, 8- non mangiare cibi confezionati, 9- avere amore e consapevolezza anche in cucina, 10- niente zucchero, 11- dormire bene, 12- fare attività fisica, 13- praticare la meditazione, 14-fare sette respiri consapevoli, 15- ringraziare e perdonare.”

Molti di questi consigli sono certamente buoni e condivisibili, però riducono il problema salute ad una realtà esclusivamente individuale, un problema che ciascuno deve e può risolvere solo da solo con se stesso. Ma allora questi sono i fattori determinanti per cui i ricchi stanno meglio dei poveri? Gli istruiti meglio degli ignoranti? I settentrionali meglio dei meridionali, ecc. ecc.?

E queste quindici regole sono le principali che tu consiglieresti a chi non ha i soldi per arrivare a fine mese? Per chi ha un lavoro faticoso e rischioso? Per chi vive in un ambiente nocivo?

Negli anni 70 le lotte per la salute erano lotte collettive contro le nocività in fabbrica e negli ambienti di vita; la prevenzione “vera” era la cosiddetta prevenzione primaria, quella cioè che elimina o allontana i fattori di rischio. Anche alcuni fattori di rischio, come il fumo, l’alcool e la sedentarietà erano allora, forse impropriamente ed ideologicamente, considerati indotti dallo sfruttamento e non viceversa.

Il mio, ma anche tuo “maestro”, Giulio Alfredo Maccacaro, un giorno mi prese in disparte e mi disse “Cesare sei fortunato tu che sei giovane, perché come Pasteur trovò l’origine microbica delle patologie, tu hai davanti tanti anni per trovare come all’origine della patologie ci sia lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.

Purtroppo non ho certamente avuto le capacità e la genialità di Pasteur, ma le parole di Giulio non le ho mai dimenticate e ho cercato per lo meno di misurare le differenze sociali ed economiche delle patologie e di chiedermi cosa si possa fare per ridurre, se non eliminare, le disequità.

Concludo questa breve e confusa riflessione invitando, te e tutti, a non considerare i problemi di salute e le attività di prevenzione esclusivamente appartenenti alla sfera individuale. Bene seguire i tuoi consigli (almeno alcuni …) ma non basta, serve anche continuare a lottare per avere condizioni di vita e di lavoro non nocive, per avere un accesso appropriato ed efficace alle prestazioni sanitarie, per fare in modo che i processi di sfruttamento non riducano il nostro pianeta invivibile alle future generazioni e forse già alla nostra.

Questo è ciò in cui credo e se le mie obiezioni ti sembrano errate od eccessive, non ti arrabbiare ma apprestati ad esercitare il quindicesimo dei tuoi consigli!

Ciao, Cesare

(Credit immagine: corriere.it)

       Visite